Raven In Silence episode I - The Darkness Inside

Fanfiction ispirata a Silent Hill e Armored Core

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  1. Hanna Rye
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    CAPITOLO QUINDICESIMO
    PRIGIONIERO DELL'IRA



    “NEITH???” Arcadia guardava incredulo. Divine era ancora in funzione, il look molto rovinato ma con il suo tremendo bagliore rosso più luminoso di prima.
    “Raven… tu mi deludi. Speravo che almeno ti rendessi conto della mia potenza, ma a quanto pare… ti sei illuso che io potessi andarmene in quel modo.”
    “Ma io ti ho visto quando sei morto! Eri completamente a pezzi!!”
    “Forse dimentichi che non sono più legato a questo mondo.”
    “E allora?”
    “Io non sono un umano, che è così fragile, così debole… così… inutile…”
    “Ora basta! Ho sentito abbastanza delle tue... stronzate… MA QUESTA!!” e con quest’urlo Arcadia indicò Alicia, agonizzante per la brutta ferita e con lo sguardo che implorava aiuto. “QUESTA TU NON LA PASSERAI LISCIA!!! IO TI AMMAZZO!!!”
    Neith rise. “Finalmente l’hai detto!!”
    “Volevi farmi arrabbiare? Volevi vedermi infuriato?”
    “Avanti! Se è vero quello che si dice, non ti farai problemi… credi di essere un duro? Fammi vedere…”
    Il battito cardiaco del Raven aumentava sempre di più, anche il respiro si faceva più affannoso e la temperatura saliva di pari passo. La mente gli si stava offuscando, l’unica cosa che aveva ben fissa in testa era Neith e come ucciderlo.
    “Bene… l’hai voluto tu… non ho altra scelta.” Tirò fuori la PIXIE3 e con uno scatto la fissò alla mano destra. “Non ho…” Sfoderò il lanciagranate a spalla. “…altra…” Prese in mano l’ascia gigante. “…scelta!!!” Azionò l’Overboost e con tutte le armi equipaggiate si lanciò senza esitazione addosso a Divine.
    L’impatto tra i due AC fu durissimo. L’energia sprigionata dall’urto causò un boato potente, al quale seguì un continuo susseguirsi di spari da parte di Arcadia, mentre Neith contrattaccava respingendo i proiettili con viticci azzurri. Come quest’ultimo si avvicinò, Arcadia lo respinse buttandolo a terra con un colpo d’ascia. Divine cercò di rialzarsi, ma fu raggiunto da una palla di fuoco prima di riuscirci. Una seconda stava per arrivargli addosso, ma riuscì a scansarsi.
    “Ahahah, magnifico!” Neith era infuriato ma soddisfatto. “Questo è quello che io chiamo combattere! Dov’era questa potenza inaudita quando ci siamo fronteggiati?”
    “Stai zitto e vieni qui! Non ti lascerò andare fino a quando non ti avrò fatto a pezzi!”
    “Non ho tempo da perdere! Ma se proprio vuoi giocare…” mentre diceva ciò, Neith si allontanò da Arcadia. “…ti consiglio di farmi visita… alla scuola media! Ricordi? Quella che frequentavi tu…”
    “TORNA QUI!!!”
    “Non ti sento!” rispose Neith con aria di sbeffeggio, allontanandosi ulteriormente. Arcadia si rese conto che non poteva inseguirlo, e poi Alicia era ancora a terra, e poteva chiaramente sentirla piangere. In tutta la furia che lo aveva assalito l'aveva lasciata lì. Si sentì immediatamente un idiota: lei doveva essere la sua priorità in quel momento, e invece si era lasciato prendere dall'ira per l'ennesima volta. Rinunciando alla vendetta, ripose le armi e voltò le spalle all’ormai lontano Divine, rivolgendo la sua attenzione alla povera ragazza.
    “Alicia… ti prego, calmati, ora… troverò un rimedio. Santo cielo, perché??? Mi senti? Rispondimi per favore!!”
    Alicia tossì. “Arcadia…?”
    “Va tutto bene, va tutto bene… va… NON VA UN CAZZO BENE!!!” Prese a calci un lampione lì vicino. “Non doveva succedere!”
    “Era… N-Neith?”
    “Sì che era lui… avrei dovuto immaginarlo… ho abbassato la guardia ancora una volta…”
    “Non… potevi s-sapere…”
    “Avrei dovuto! A quest’ora… tu… oddio, come ho potuto…”
    “Lascia perdere… sarebbe s-successo lo st-stesso…”
    “Non parlare… non parlare, fai solo fatica… riposa… calma… adesso vedo che f…”
    “Aaaaaah! D-Dannazione, fa male!!”
    “Oddio! Dove fa male?”
    “D… Dappertutto…!”
    “Ossignore… ora cosa faccio???”
    “Chiama aiuto…”
    “Dove? Non c’è nessuno!”
    “Provaci lo st…”
    “Per l'amor del cielo, stai zitta un attimo, ti affatichi soltanto!”
    “Ok, ma…”
    “Ma cosa? Devo curarti, troverò un modo… ci saranno delle attrezzature da qualche parte!”
    Arcadia non sapeva che fare. Le sue mani erano sporche di sangue, e Alicia stava diventando molto debole e pallida.
    “Non doveva succedere, non doveva succedere!!! E adesso cosa faccio???”
    “Forse io so cosa fare.” Una voce diversa da quella che Arcadia aveva sentito accompagnò un altro AC. Arcadia lo guardò con sospetto, Alicia a stento trattenne un gemito. “Il mio nome è Belekal. Tu sei il Dominant, vero?”
    “Così si dice.” Rispose il Raven. “Belekal… non mi dice nulla. Chi diavolo sei? Un mercenario? Un rinnegato? Un bandito?”
    “Passavo per caso… ero uno come te, una volta. Un mercenario. E a dire la verità, speravo… di esserti utile.”
    Arcadia guardò Alicia, poi di nuovo Belekal. “Vuoi essermi utile? E allora se sai cosa fare, dimmelo. Lei sta male, è ferita gravemente, e io… devo salvarla.”
    “Oh, di certo tieni tanto a lei… la tua voce mostra una preoccupazione molto forte, che non sento spesso… sei un mercenario, ma non hai dimenticato cosa significa la parola vita…”
    “Senti, non è il caso di filosofeggiare! Lei sta malissimo! Se non riceve cure subito potrebbe...” Esitò un attimo, poi completò la frase. “Potrebbe morire! Capisci? Se sai come aiutarmi, fallo!”
    “Va bene… però ti devi fidare di me.”
    “Purché mi aiuti! Anzi… CI aiuti…”
    “Ok… vado a prendere una barella. Di sicuro in tutto questo casino ce ne sarà una.” Detto questo si allontanò.
    Mezz’ora dopo, i due avevano trovato riparo presso l’ospedale abbandonato poco fa da Arcadia prima dell’incidente. Nel frattempo Belekal aveva trovato medicinali, garze, e molto altro equipaggiamento medico, così che Alicia riuscì a reggere il trasporto. Arrivati lì, i due Raven si misero ai macchinari e iniziarono le cure per la ragazza. Arcadia notò come lo sconosciuto fosse incredibilmente abile con l’attrezzatura medica, e osservava le operazioni col cuore che batteva a mille, mentre con una mano stringeva quella di Alicia, che in quel momento era sotto anestesia totale. Egli le rivolgeva ogni tanto uno sguardo preoccupato, non faceva altro che pensare a lei, a quanto aveva rischiato di perderla per sempre ancora una volta, a quanto si sentiva in colpa per quanto era successo. Era una situazione incredibile… non erano legati da un sentimento d’amore, ma sentiva che il suo attaccamento a quella ragazza era ancora vivo, forse più di prima. E forse era una sua impressione, ma anche lei provava lo stesso per lui. In quel momento difficile, gli tornò in mente una frase che lui stesso aveva detto ad Alicia tempo fa… non c’è bisogno di amare una persona quando le vuoi bene.
    Era ancora immerso nei pensieri, quando Belekal lo riportò alla realtà. “Ecco fatto… operazione riuscita.”
    Arcadia si illuminò. “Non so chi tu sia… ma grazie. Non puoi immaginare che bella notizia che mi hai dato.”
    “Non voglio saperlo. A me basta che lo sappia tu. E poi… era mio dovere aiutarvi.”
    “Cosa intendi?”
    “Capirai più in avanti… ma voglio che tu sappia questo: non puoi sconfiggere Silent Hill. Dovresti provare a portarla ad agire in tuo favore. Solo così potrai scappare e salvare te e la tua amica.”
    “Belekal… perché non resti? Mi hai aiutato tantissimo, e vorrei che mi accompagnassi.”
    “Non ti nascondo che vorrei tanto… ma non posso. Veramente.”
    “Sicuro?”
    “Non dipende da me.”
    “Allora… arrivederci. Forse ci rivedremo.”
    “Forse. Anche se temo che non sarà piacevole per nessuno dei due.”
    “Perché dici così?”
    “Non è colpa tua, Raven… è colpa mia.” Belekal cominciò ad allontanarsi.
    “Aspetta! Spiegati almeno!”
    “Credimi, ora devi solo andare avanti e porre fine a tutto questo. Fallo e basta!”
    “E Alicia?”
    “Dalle questo.” Belekal tornò indietro e diede ad Arcadia un ciondolo a forma di pallottola. “Fallo indossare ad Alicia. Sembra un comune oggetto, ma la proteggerà dal male che si sta aggirando.”
    “Sei sicuro?”
    Belekal lo fissò intensamente. “Che Dio mi tagli la testa se mento, Raven.” Poi si allontanò di nuovo. Arcadia rimase a fissarlo mentre se ne andava, stringendo in mano il ciondolo. Sulla pallottola erano incise le lettere S.S.C.T. in caratteri spigolosi. Pensando che ormai poteva solo andare avanti da solo, tornò da Alicia a metterle l’oggetto al collo. E mentre faceva ciò, non poteva non pensare a quanto si era sentito morire prima che Belekal arrivasse, quando tutto sembrava ormai perduto.
     
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  2. Hanna Rye
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    CAPITOLO SEDICESIMO
    HIC EST JULIUS CAESAR



    Non riusciva a stare tranquillo, Arcadia. Lasciare Alicia nelle mani di un ciondolo, per quanto potente fosse, gli pareva una follia. Non avrebbe voluto rischiare, ma a quanto pare era obbligato. Per quale motivo stava succedendo tutto questo? Perché anche Alicia era stata coinvolta? Cosa c’entrava lei in tutti questi eventi? Ma soprattutto, cosa c’entrava lui? E in che modo poteva essere minimamente capace di fermare Neith? Era solo la smania di potere e di vita eterna che lo guidava? Ma allora perché era così insistente nell’affermare che lui, diventato mercenario solo qualche anno fa e con un’intera vita davanti, doveva essere eliminato? Tutto questo ad Arcadia stava troppo stretto. Inoltre, era ancora viva la rabbia per il tentato omicidio (così lo chiamava lui) nei confronti di Alicia, e l’idea di vendicare l’attacco non era sparita dalla sua testa.
    Questa volta però sapeva dove andare: Neith aveva detto di trovarlo alla scuola media che frequentava, non molto distante dal luogo dell’incontro. E proprio qui, Arcadia decise di guardarsi intorno meglio, perché mentre perlustrava l’ambiente prima che Alicia lo trovasse gli era parso di aver scorto un’arma. Cercò quindi tra le vetrine, finché non la trovò: era una balestra, e lì vicino vi erano un paio di pacchi di frecce e una faretra. Arcadia equipaggiò il tutto, quindi si diresse alla volta dell’istituto scolastico.
    “S.S.C.T., cosa vorrà dire? E soprattutto, da dove spunta fuori quella pallottola?” Arcadia aveva ancora tanti interrogativi in mente, ma le risposte non arrivavano. La nebbia che aveva invaso la città era anche nella sua mente, e offuscava chissà quali ricordi.
    A un certo punto, si fermò. Aveva scorto delle ombre nella nebbia, ed erano enormi. Man mano che si avvicinavano, Arcadia riconobbe in esse le silhouettes dei mostri dalle grandi braccia che aveva incontrato nella scuola, e in breve tempo arrivò a contarne più di trenta. Si girò di scatto per vedere se poteva ripiegare dietro, ma ne arrivavano anche da dietro. Era circondato.
    “Sono davvero tanti… ma se pensano che questo sia sufficiente…” pensò a bassa voce, mentre caricava la balestra. Con la coda dell’occhio studiò la barriera di mostri davanti a lui, consapevole che quella di dietro si stava avvicinando. A un tratto, casualmente notò una zona dove la barriera era più sottile, e con uno scatto si portò in quella direzione. Come i suoi piedi lasciarono l’asfalto per quella corsa, tutti i mostri dietro di lui cominciarono a inseguirlo, mentre quelli davanti cercarono di stringersi intorno a lui. Arcadia in un attimo scaricò il dardo davanti al mostro davanti a lui, colpendolo in testa. Quest’ultimo cadde, e il Raven tentò di fuggire da quell’accerchiata attraverso la breccia che si era appena creato. Quando pensava di essere ormai fuori, all’improvviso inciampò e cadde a terra: il mostro che aveva colpito lo aveva afferrato alla gamba sinistra con una delle sue grandi braccia, e la stava stritolando pian piano. Arcadia non riusciva a liberarsene, e la balestra gli era sfuggita di mano nella caduta, finendo troppo lontana dalla sua portata, mentre gli altri mostri tiravano dalla loro parte il cadavere nel tentativo di catturare Arcadia. Quest’ultimo tirò fuori la pistola, e sparò un paio di colpi nel mucchio, sparando poi al braccio del mostro morto. Questi colpi purtroppo fecero molto male anche a lui, dato che la sua gamba era ancora intrappolata. Riuscì però a girarsi su sé stesso, così da poter tagliare il braccio al cadavere con la spada laser e aprire quella specie di chela gigante mentre con i colpi restanti della pistola cercava di distrarre gli altri mostri. Non appena fu libero dalla morsa, strisciò verso la balestra e caricò altri dardi, proprio mentre il gruppo di nemici ricominciò ad avvicinarsi. Questa volta il Raven li aveva tutti a tiro, e mentre continuava a strisciare lontano da loro sparò a vista. Le frecce penetravano più mostri in una volta, e ad ogni colpo si accompagnavano urla, schizzi di sangue, e ogni tanto qualcuno di loro cadeva a terra morto. Nel frattempo, Arcadia provò a rialzarsi, e sentendo che la gamba faceva meno male, cominciò a correre, voltandosi ogni tanto per lanciare gli ultimi dardi verso i mostri.
    Nel giro di un quarto d’ora, si era ormai allontanato da quelle creature infernali, e aveva raggiunto la scuola. Il passo carraio era aperto, ma come si aspettava nessuna traccia di qualsiasi forma di vita. Non sapeva perché, ma quel posto, combinato in quella maniera, gli faceva venire i brividi.
    L’edificio bianco aveva una palestra esterna, proprio davanti al cancello delle auto, mentre la sede principale, lì vicino nello stesso cortile, aveva due ingressi. Quello sinistro era il più vicino, ed era l’entrata che era solito usare più spesso, dato che era anche vicino alle scale che prendeva per andare nella sua classe. Mentre si dirigeva verso l’ingresso, non poté fare a meno di notare che le scale antincendio erano arrugginite, come se quel posto fosse abbandonato. Sospirò, e rivolse lo sguardo a un cartello che stava sopra la soglia dell’ingresso.
    << Sei arrivato fin qui con le tue forze, e ciò è ammirevole. Ma non basta, perché una vita senza gli amici non è degna di essere vissuta. Loro sono indispensabili, anche se non te ne accorgi. Il loro aiuto è prezioso, e anche quando sono lontani trovano sempre il modo di fare la loro parte. >>
    “Cosa vorrà dire?” si chiese Arcadia, mentre premeva la maniglia per aprire la porta. Ma questa non si mosse.
    “Cos’ha ora?” Si guardò intorno, e vide una pedana attaccata al muro. Provò a spingerla col gomito, pensando fosse un interruttore, ma non successe nulla. Poi guardò meglio, e solo allora si accorse che vi era scritto: << Ricorda che un’amicizia vera è un legame di sangue… non muore mai. >> Alla parola “sangue”, si guardò istintivamente le mani… erano ancora sporche di rosso.
    “Alicia…” Provò ad avvicinare le mani alla pedana, poi premette. E con un po’ di ribrezzo sentì che affondavano nel cemento come se le stesse infilando in una ferita aperta, ricordando il suo tentativo di soccorrere Alicia. Scavò a fondo, e poté sentire un oggetto metallico. Lo afferrò e lo tirò fuori… era una chiave. Provò ad usarla sulla porta, e uno scatto confermò ad Arcadia che si era sbloccata. Quindi, senza esitazione, entrò nella scuola. Subito un odore di chiuso lo assalì, e accese la torcia per poter vedere qualcosa in quella quasi totale oscurità. Puntò la torcia sul muro, e scorse le foto di gruppo delle classi terze. C’era anche la sua. Rimase a fissarla per un po’, pensando che in quel periodo le sue emozioni erano state incostanti, e sperando che non avrebbe dovuto vedersela anche con questo.
    Stava per proseguire l’esplorazione, quando qualcosa lo prese da dietro. Delle infermiere si erano avvicinate, e lo stavano circondando. Erano una ventina, tutte armate, e questa volta non riuscì a equipaggiare alcuna arma perché una di loro gli aveva sottratto il Battle Watch dov’erano conservate tutte le informazioni sull’equipaggiamento, e la LB2 era fuori uso. Provò a divincolarsi, a scalciare, ma niente: erano troppe. Ricevette vari colpi di siringa, e le scariche elettriche che già aveva rilasciato involontariamente nell’ospedale tornarono a colpire, ma si rivelarono stavolta inefficaci, e nella ressa un’infermiera demone gli percosse il cranio con un tubo di ferro fino a quando Arcadia non perse i sensi.

    Nascosto tra le fronde, poté vedere con un binocolo un ragazzo di 18 anni avvicinarsi a un cancello. Indossava una felpa a righe grigie e nere, capelli scuri, non troppo alto. A farlo entrare arrivò una ragazza della stessa altezza, probabilmente più giovane, capelli scuri e di media lunghezza.
    “Ehi, ciao!” fece quest’ultima, con un largo sorriso.
    “Ciao… senti, devo chiederti una cosa.” Rispose il ragazzo. “Non è che hai visto il mio ciondolo a pallottola?”
    “No… ma non ce l’avevi tu?”
    “Sì… il problema è che l’ho perso!”
    “Oh… mi spiace.”
    “Non è che ce l’hai nell’auto, o magari l’ho perso da qualche parte e tu l’hai trovato?”
    “Se l’avessi trovato te lo avrei detto subito… mi spiace, non credo di riuscire a vederlo.”
    “Ah… ok. Dai, l’importante è che questo…” e mostrò una piccola chiave appesa al collo. “…non sia andato perduto!”
    “Già!” rispose lei, poi lo prese per mano e lo portò in casa. Quando la porta si richiuse, Belekal uscì dalle fronde, e si incamminò lungo una strada.
    Era passata mezz’ora, quando incrociò un uomo di colore. Aveva in mano una pallottola finta, quella che il ragazzo stava cercando. Sapeva che era la persona che stava cercando, perché aveva perlustrato la zona per giorni, e aveva spiato i movimenti di parecchia gente.
    “Ehi tu.” Disse Belekal all’uomo.
    “Dice a me?”
    “Certo. Quanto costa quello?”
    “Io trovato non ricordo dove. Non in vendita.”
    “Lo vorrei. E sono disposto a pagarlo. Quanto vuoi.”
    “Facciamo… 15.”
    “15? No… 10 vanno bene?”
    “No, no. 15 o niente, mi spiace.”
    “Ok, vada per 15 allora.” Disse, allungando due banconote di diverso taglio. “E’ stato un piacere fare affari con te.”
    “Grazie a te amico.”
    “Amico non so… però hai fatto la cosa giusta lo stesso.” I due si allontanarono, Belekal stringendo la pallottola nel pugno. Si sedette su una panchina e con una lametta prese a incidere delle lettere.
    “Un giorno… sento che un giorno questo gesto salverà qualcuno. Lo spero.”

    Arcadia si svegliò di soprassalto. Era legato a una sedia di ferro inchiodata a terra, e tutt’attorno infermiere demoni atte alle più svariate azioni. C’erano corpi appesi ai muri, e alcuni di questi erano sottoposti a sfregi e amputazioni da parte dei mostri. Altre infermiere, poi, si attaccavano fra di loro, o si abbandonavano ad atti omosessuali. Alcune di loro avevano le divise strappate, e perdevano pezzi di stoffa ovunque. A terra c’era di tutto: unghie rotte, bisturi, pezzi di camicette o di minigonne, macchie di sangue. Sotto un tavolo c’era pure una testa, mentre il corpo era stato gettato sopra di esso ed era pieno di aghi addosso.
    “Ma dove sono finito??” Mentre Arcadia si guardava attorno allibito, un paio di infermiere demone, si avvicinarono a lui, brandendo dei bisturi. Quando glieli piantarono nelle gambe, egli strinse i denti, cercando non di non urlare. Una di esse cominciò a saltarsi addosso, e non lo mollava più. Arcadia cercava di mandarla via, ma era bloccato, mentre quel mostro continuava imperterrito in quello che appariva come un tentativo di autoerotismo. Riuscì a tirarle una testata e a buttare a terra l’infermiera demone proprio mentre stava avendo un orgasmo, col risultato che un gigantesco fiotto di sangue e di pece schizzò per tutta la stanza, mancando di un soffio il Raven mentre altre infermiere venivano inondate e un odore pungente di urina stagnante si spargeva per la stanza. Alcune infermiere si avvicinarono alla loro compagna ancora delirante con un gigantesco arnese, e lo infilarono violentemente nei genitali di questa, che cominciò ad urlare e a divincolarsi, mentre loro la bloccavano al suolo. Una delle infermiere aziono l’arnese, e da dentro il corpo della vittima partirono una serie di punte, che impalarono senza pietà il mostro. Arcadia tenne gli occhi chiusi per evitare di guardare, mentre continuava a scuotersi per cercare di liberarsi. A un certo punto, le viti che fissavano la sedia al suolo cedettero, e riuscì ad alzarsi in piedi strappandola via. Azionò l’Overboost, e la potente scarica di energia fece saltare in aria le catene, scaraventando la sedia contro i mostri dietro di lui. Al fragore dell’impatto le restanti si voltarono verso di lui, ma con la spada laser sfoderata cominciò a menare colpi ovunque, facendosi strada verso l’uscita da quella stanza. Quando riuscì a uscire, si fermò, e cercò di riprendere fiato.
    “Assurdo… tutto questo è semplicemente as…” non finì la frase, perché i suoi occhi gli fecero prendere visione del fatto che l’Otherworld era tornato. “Dannazione! Ancora una volta!” fu la sua reazione. Poi, degli stridii lontani. “Cosa diamine…?” Una di quelle trottole giganti si stava avvicinando velocemente. Allo stesso tempo, un’infermiera uscì dalla stanza e si lanciò verso di lui. Arcadia in un attimo pensò a cosa fare, e con un rapido balzo si scansò dalla traiettoria della trottola gigante. Quest’ultima andò a scontrarsi con l’altro mostro, che finì divelto in mille pezzi, mentre la corsa dell’arnese mortale si arrestò a causa dello schianto a tutta velocità col muro.
    “Porcamiseria… c’è mancato davvero un pelo.” Arcadia poté solo constatare quando era stato fortunato ad evitare la morte certa per l’ennesima volta. “Perché Neith voleva che io venissi qui? Voleva forse farmi violentare? Santo cielo, è stato orribile… roba da far venire le fobie a chiunque… che schifo.” Le infermiere continuavano la loro orgia in quella stanza maledetta, incuranti di Arcadia che da fuori sentiva, non senza un certo ribrezzo: dopotutto, erano dei mostri, per quanto antropomorfi fossero.
    “Sarà meglio che me ne vada da qui, prima di venire assalito ancora.” Si disse. Poi si ricordò che era senza Battle Watch. “Caspita… devo ritrovarlo! Come faccio senz’armi ora?”
     
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  3. Hanna Rye
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    CAPITOLO DICIASETTESIMO
    LA STORIA DI ANNURAH BELEKAL



    Sotto il controllo dell’Otherworld, la scuola media G. Cesare era diventata un fac-simile del liceo frequentato Arcadia quando quest’ultimo vi si era trovato imprigionato insieme ad Alicia. Grate coprivano gran parte del pavimento, c’era ruggine ovunque, e inoltre buio, sangue, oggetti fuori posto o sostituiti da altri decisamente più spaventosi, tutto conferiva al luogo un aspetto senza ombra di dubbio infernale. Il busto del fondatore era di fianco alla porta della stanza d’attesa, chiamata così perché vi entravano gli studenti che prendevano una pausa prima dei rientri scolastici, e ora trasformatasi nello stanzino delle torture dove Arcadia si era risvegliato poco fa. Il busto era coperto di pezzi di carne e di sangue, e l’effigie era illeggibile.
    Quel posto faceva letteralmente paura, era pieno di visioni di morte, di violenza, di sangue, di oscurità… il male si nascondeva dietro ogni particolare. E a peggiorare il tutto, Arcadia era ora indifeso: senza Battle Watch non poteva contare che sulla spada laser LB2, che comunque sarebbe stata insufficiente contro tutti quei mostri, in particolare di fronte ad un assalto come quello precedente che gli era costato un brutto quarto d’ora in mezzo a infermiere demoni assatanate e il rischio di essere ucciso da una trottola gigante assassina.
    Privo di un qualsiasi piano d’azione – anche perché non sapeva proprio da dove cominciare – il giovane Raven prese le scale che in quel momento stavano dietro di lui e che portavano al piano superiore. Arrivato di sopra, riconobbe il corridoio dall’aria “estranea”, così detto perché probabilmente ci era passato poche volte, e la rampa per disabili normalmente di colore giallo che in quel momento era di un colore tendente al nero brunastro. Un brivido di malinconia lo attraversò, e senza volerlo gli tornò in mente un pensiero. Una figura nascosta tra delle fronde… una pallottola e una lametta… due persone che parlavano proprio di quel proiettile… era la visione che aveva avuto prima di svegliarsi. Perché gli era venuta in mente? Cosa c’entrava lui? E la persona nascosta era Belekal? La voce era uguale, e la pallottola era terribilmente simile a quella ricevuta da lui… sentì il bisogno di ricomporre quel puzzle per comprendere altri particolari. Ma cosa poteva fare?
    La risposta arrivò dal piano di sopra. Urla disumane precedettero un’esplosione che sfondò il soffitto, mancando di poco Arcadia. Dal buco cadde uno di quei mostri dalle braccia enormi, era palesemente morto a giudicare dallo squarcio che lo tagliava di netto. Di colpo la tensione gli salì in corpo… qualsiasi cosa ci fosse lì sopra era pericolosa. Decise di andare a controllare, anche se si mosse con cautela per evitare di essere scoperto.
    Arrivò al secondo piano solo per trovare altri mostri morti e quasi tutte le porte sbarrate. Ce n’erano due o tre sul lato sinistro dalle scale, corrispondevano alle varie classi nelle quali era stato. Con cautela entrò nell’aula di mezzo, la prima. Trovò tutti i banchi e la cattedra spostati ai muri, molti di essi come se fossero stati sfondati. Al centro c’era ancora quel simbolo, l’Halo, e una scritta di sangue che recava “Past”. Arcadia riuscì però a leggerla a fatica: era stata sbarrata due volte, come se qualcuno avesse voluto cancellarla. Uscì dall’aula e scelse quella a sinistra dell’uscita, la seconda, per andare in ordine. Di nuovo, stessa situazione, stesso simbolo… ma la scritta questa volta era diversa. Non solo recava “Present” e non “Past”, ma attorno vi era un cerchio, come se stavolta qualcuno avesse voluto sottolinearla, o comunque metterla in evidenza. Cercando di indovinare cosa avrebbe trovato nella stanza della terza, uscì, e si diresse verso quest’ultima. Aprì la porta, ma non vide nulla, era buio. Lentamente fece un passo, e il cuore gli saltò in gola… non c’era il pavimento. Ritirò il piede, e cercò l’interruttore, che fortunatamente riuscì a trovare. Lo attivò, ma ad accendersi furono decine di candele, rivelando l’orrendo spettacolo: il pavimento era sprofondato, dando su un burrone, dal quale si ergeva imponente al centro un pilastro. Sopra di esso vi stava un crocifisso gigante, ma al posto della figura del Cristo qualche sadico aveva messo uno scheletro trafitto da diversi pugnali. L’anatomia di quest’ultimo inoltre non era neanche umana: aveva un paio di ali, e le ossa degli arti erano strane, come se avesse… delle armi incorporate. La testa era avvolta da fil di ferro, e due occhi rossi luminosi fissavano malvagiamente Arcadia. Il ragazzo, spaventato da quella visione, indietreggiò e chiuse sbattendo la porta. Non lo avesse mai fatto… improvvisamente lo scheletro nella stanza emise un urlo feroce e agghiacciante, e il muro cominciò a fare delle crepe, per poi crollare. Sotto il cemento vi erano grate, e dietro di queste si poteva vedere la figura crocefissa contorcersi e urlare. Arcadia non poteva sopportare oltre, e scappò al piano di sotto. Non aveva finito di scendere le rampe di scale, però, che queste crollarono improvvisamente. Riuscì a saltare via e a mettersi in salvo al primo piano per un pelo, e atterrò sul pavimento rugginoso con la spalla destra. Rialzatosi in piedi, restò a vedere le scale che cedevano, accompagnate dall’urlo dello scheletro che da quello che sentiva non era intenzionato a smettere. Si girò e si incamminò per il corridoio, ben sapendo che non aveva la minima idea di dove stava andando. A un certo punto, mentre camminava, si fermò quasi istintivamente, voltandosi alla sua sinistra. L’aula del laboratorio di ceramica era lì, e la porta era aperta. Sembrava come se avesse “lottato” per non finire inglobata da quella dimensione oscura, perché veramente poco di quella stanza era stato piegato al volere dell’oscurità. Un frammento di Mestre era sopravvissuto all’Otherworld, ma quanto era sicuro stare lì? Non se lo chiese, Arcadia, che entrò per ispezionare l’aula senza esitazione. I quattro tavoli erano ancora nella stessa posizione nella quale erano di solito. Gli scaffali erano pieni di statuette, vasi, maschere, e altri soprammobili fatti in ceramica dagli studenti. E tra i vari lavori spiccava una tavoletta leggermente incurvata, di forma circolare dal bordo molto frastagliato, su cui era stato inciso l’Halo. I solchi erano stati ripassati in nero, e sulla tavoletta era stato spruzzato dell’inchiostro rosso che era abbastanza sbiadito.
    “Ehi, questo… questo l’ho fatto io.” Arcadia guardò con interesse quell’oggetto, ricordandosi subito che l’aveva fatto lui in una mezz’ora di tempo libero. Pensò subito che in mezzo a tutta quella confusione, in mezzo a quell’inferno, ci stava a pennello una tavola simile. Fu allora che notò una statuetta vicina che lo colpì parecchio… una venere preistorica, riconoscibile per le forme molto abbondanti ma anche molto rozze. La prese in mano, e notò subito che era piena di polvere, come se fosse stata lì per molto tempo. “Non ho mai visto nulla del genere quando sono stato qui…” si disse tra sé e sé, in effetti certi cimeli non si trovano in una scuola media, ma nelle caverne o nei musei… cosa ci faceva una venere in una scuola?
    Stava esaminando altri lavori, quando altre urla richiamarono la sua attenzione. Posò gli oggetti che stava esaminando e uscì di corsa, ma subito si accorse che altre trottole giganti gli stavano per venire addosso. Le scansò in un attimo e si appiattì al muro, mentre una di quelle inciampò nelle grate e finì per rotolare verso le scale, cadendo di sotto. Le altre due riuscirono a fermarsi in tempo e cambiarono direzione, voltandosi verso Arcadia che questa volta non aveva scampo. Una trottola superò in velocità l’altra e si scagliò contro il Raven, che oppose alle sue gigantesche lame la sua spada laser, riuscendo a respingere il mostro. Ora però era circondato, con una delle due creature bloccando l’accesso alle scale e l’altra sbarrando la strada dalla parte opposta.
    Di nuovo, il soffitto cedette… e una figura spaventosa precipitò dal buco, le lame azzurre spianate contro una delle trottole, che finì uccisa sul colpo. Il Pulverizer quindi si lanciò contro l’altra, e la spacco in due con un taglio netto, il tutto in una manciata di secondi. Quando entrambe le creature caddero senza più dare segni di vita, si voltò verso Arcadia, indietreggiando di qualche passo. Ora i due si stavano fissando l’un l’altro, entrambi con le loro armi pronte al combattimento. Come successo in precedenza, però, il Pulverzier non sembrava ricercare lo scontro, e ancora una volta si allontanò, lasciando il Raven da solo. Quest’ultimo tuttavia non abbassò la guardia fino a quando il gigantesco robot senza pilota non fosse sparito.
    “Qua c’è qualcosa che non quadra.” Furono le sue parole. “Perché Neith ha voluto che io venissi qui?” Era strano… avrebbe dovuto essere in quel posto, secondo Arcadia, ma nessuna traccia di lui. Stava per abbandonare il luogo, quando una voce lo richiamò.
    “Ehi! Aspetta!” Si voltò, e vide Belekal uscire dal laboratorio di ceramica con la venere in mano. “Dove stai andando?”
    “Via da qui. Cercherò altrove.” rispose Arcadia.
    “Prima che te ne vai... dai un'occhiata a questa.” Belekal lanciò la statuetta al Raven, che la prese al volo. “Che me ne faccio?” gli chiese.
    “Raven, adesso tu ignori il suo scopo… ma sono sicuro che non resterà inutilizzata. Ti spiace se la prendo in prestito?” Arcadia non capiva cosa volesse dire, ma annuì. Non capiva il motivo di quel gesto, ma sicuramente lui sapeva che farsene, al contrario di lui. Tuttavia, aveva una strana sensazione, quindi gli domandò: “Ci sono cose che continuo a non capire, Belekal. Tu sai qualcosa, me lo sento.”
    “Cosa vorresti che ti dicessi?”
    Arcadia ci pensò un po’ su, poi gli chiese: “Quel proiettile. Dove l’hai trovato? Ho avuto una specie di visione mentre ho perso i sensi… ti ho visto cercarlo.”
    Belekal sembrava sorpreso. “Ma chi sei??”
    “Niente di più che una persona. Forse è Silent Hill che vuole che io veda certe cose. Comunque vorrei che tu mi dicessi dove l’hai trovato.”
    “E va bene…” rispose Belekal. “Se proprio vuoi saperlo… era tuo. Solo che non lo ricordi.”
    “Mio?”
    “Certo. Lo hai perso tornando a casa dopo una giornata passata fuori casa in compagnia. L’ho cercato ovunque, e alla fine ho scoperto che un nigeriano lo aveva trovato. Lui non sapeva il motivo per cui fosse tanto importante, e gli diedi una piccola somma per averlo. Era davvero incredulo… chi avrebbe mai pagato così tanto per una cosa che avrei potuto trovare tranquillamente a un mercatino a molto meno?”
    “Tu sai troppe cose!” Arcadia era nervoso… sembrava che quel Belekal sapesse tanti particolari della sua vita. “Magari sai anche come ho passato le giornate quando Alicia è venuta a trovarmi a casa tempo fa! E’ vero?”
    “Ma per chi mi hai preso, per uno stalker? Certo che non lo so… non agitarti.” Belekal si era stupito della reazione di Arcadia, e si era affrettato a chiarire. “Non so molto sulla tua vita, ma so molte cose su quel proiettile. Per esempio, quelle lettere… ce le ho incise io stesso.”
    “E cosa vogliono dire?”
    “Ammetto che mi sono lasciato trasportare dalla tua situazione di allora, e ho pensato che se lo avessi ritrovato avresti voluto avere un messaggio simbolico sempre con te… una speranza che le cose migliorassero sempre di più.”
    “Taglia corto… allora? Me lo vuoi dire o no?”
    “S.S.C.T., cosa vuoi che possa voler dire? << Sarò Sempre Con Te >>, niente di più facile.”
    Arcadia un po’ si pentì di averglielo chiesto. “Oh… davvero?”
    “Ovviamente non ero io ad essere ispirato da chissà quali sentimenti. Ho pensato che quel proiettile avrebbe potuto diventare una sorta di amuleto di speranza, a dispetto dell’oggetto su cui avevo inciso quelle lettere. E credo di esserci riuscito… quel ciondolo è molto potente. In questo momento Alicia può contare su una sorta di scudo che la proteggerà da tutto il male che si cela dietro questo mondo.”
    “Un momento.” Arcadia lo interruppe di colpo. “Vuoi dire che c’è qualcosa di ancora peggio di Silent Hill?”
    “Conoscendo il vostro avversario, temo che devi ancora vedere il male in persona…”
    “Eh? Tu conosci Neith?”
    “Certo che lo conosco. Già prima quando ero in contatto con lui non mi piaceva quello che stava facendo. Quando poi ho scoperto le sue intenzioni, mi sono spaventato, e gli ho detto che non lo avrei assecondato un minuto di più.”
    “Tu eri alleato con… quella bestia???”
    “Più che alleato… subordinato. Neith non ha amici. Al massimo schiavi.”
    “Io… io non so più che pensare!” Arcadia si allontanò di qualche passo, tenendo Belekal in vista. “Chi me lo dice che non ci hai fregati, adesso???”
    “Te lo dico io.”
    “Oh sì, proprio la persona più adatta.”
    “Se proprio non vuoi fidarti, almeno ascolta quello che ti sto dicendo. Più cose sai di Neith, più possibilità avrai di colpirlo con successo.”
    “Devi spiegarmi una cosa… cosa facevi esattamente al servizio di Neith?”
    “Catturavo vittime sacrificali… saprai sicuramente che il culto del dio di Silent Hill è di stampo pagano, quasi satanico. Io ero incaricato di attirare le vittime per poi catturarle. Se si rivelavano inadatte, le consegnavo a Carbon per farlo divertire. Quell’animale…”
    “Carbon è morto. L’ho incontrato quando sono finito rinchiuso nel liceo. Se non l’avessi ucciso a quest’ora non starei parlando.”
    “Guarda, credimi se ti dico che non sono affatto dispiaciuto. Per quanto lavorando con Neith mi stavo abituando all’idea di fare del male, non avrei mai potuto sopportare l’idea di un sadico necrofilo al quale venivano offerte vittime da uccidere come si danno pezzi di carne a un cane affamato. Era una cosa rivoltante.”
    “Come mai poi hai deciso di abbandonare tutto questo?”
    “Perché me lo chiedi?” Belekal sembrava infastidito da tutta questa curiosità di Arcadia.
    “Se vuoi che io mi fidi di te, devo sapere che non mi stai raccontando balle.” gli rispose lui, sempre mantenendo distanza.
    “Quella ragazza che era con te.”
    “Non capisco, spiegati meglio!”
    “Ce l’ho portata io nel liceo, dietro richiesta di Neith. Aveva infatti individuato in lei la vittima sacrificale perfetta.”
    “Vuoi dire che se è coinvolta è colpa tua???”
    “Io non c’entro assolutamente niente! Sono stato costretto anche a farle perdere i sensi a calci!”
    “Tu cosa???” Istintivamente sfoderò la spada laser, puntandola su Belekal. “Ripetilo!”
    “Te l’ho detto, io non c’entro niente! Guarda!” Belekal alzò il piede destro, e con sorpresa di Arcadia lo staccò senza fatica. “E’ finto! E’ una riproduzione! Sai cos’è successo? Eh? Mi sono amputato il piede col quale ho percosso quella ragazza! Non ne potevo più… non potevo continuare a lavorare a fianco di quella bestia di Carbon, non potevo! Fingevo di essere indifferente… mi stavo abituando al causare dolore, ma dentro non mi sarei mai rassegnato… Raven, non so perché sia stata proprio la tua amica a far scattare in me il senso di ribellione, solo che… quando ho saputo a cosa era destinata… ho provato un’angoscia indescrivibile.”
    Arcadia ritirò immediatamente la spada, quasi sentendosi in colpa, e chiese con la voce a pezzi: “A cosa… era destinata?”
    Belekal trasse un profondo respiro. “Neith le avrebbe dovuto… asportare il cuore. E poi… cibarsene. Diceva…” Si interruppe, faceva fatica a continuare. Poi riprese. “… diceva che… sarebbe diventato invincibile. E’ uno dei riti più antichi… del culto.”
    “Perlamiseria…” Arcadia ora stava sudando freddo. Ancora gli tornò in mente la visione di Alicia morente, e mise una mano sul muro per reggersi. “Io… non riesco a crederci… ma chi è questo Neith? Chi diavolo è per poter pensare una cosa del genere?”
    “Raven… credimi, non lo so neppure io. Non potevo sapere cosa aveva in mente, l’ho scoperto per caso. E’ per questo che ho un senso di protezione così grande nei confronti di quella ragazza… è scampata a un destino due volte peggiore delle vittime di Carbon.”
    “Belekal… ora cosa faccio? Non so dove andare, e qua… qua non c’è niente.”
    “Come ci sei arrivato qui?”
    “Neith… mi ha detto che lo avrei trovato qui.”
    “Da quello che ho capito il suo è una sorta di itinerario. Questa era una tappa obbligata, ma la tua destinazione è un’altra.”
    “E qual è? Dimmelo…”
    Belekal rifletté un attimo, poi disse: “La scuola elementare Pellico. E’ lì che devi andare.”
    “Ma certo…” Arcadia ora stava pensando… l’itinerario di Neith era un percorso a ritroso tra le scuole che aveva frequentato, e sembrava un caso che la maggior parte dei ricordi nei quali era presente anche Alicia risiedevano con ogni probabilità proprio lì, dove l’aveva conosciuta e dove si era instaurato quel legame che aveva resistito praticamente a tutto. “Ma certo!!”
    Arcadia stava già correndo, quando si fermò. “Ma… senza armi come faccio?”
    Belekal lo raggiunse, porgendogli il Battle Watch. “Menomale che ogni tanto seguo i tuoi spostamenti. Ho avuto la fortuna di trovarlo quando quelle infermiere ti hanno portato via, anche se poi ti ho perso di vista.”
    Arcadia riprese il Battle Watch e lo rimise al polso. “Fantastico… grazie infinite.”
    “Di niente. Però vorrei chiederti una cosa.”
    “Dimmi.”
    “Probabilmente non potrò stare al tuo fianco mentre esplorerai la scuola, ma fino a quel punto ritengo che sia vantaggioso per entrambi se ti accompagno.”
    “Ma sei armato almeno?”
    A quel punto Belekal indicò la fondina alla sua destra, nella quale era conservata una Desert Eagle, poi successivamente si girò di lato, rivelando un fucile Barrett calibro 50 appeso dietro. “Sono stato un mercenario anche io… non rimango mai impreparato di fronte a una situazione del genere. Neith deve ancora scoprire chi è veramente Annurah Belekal.”
    I due scesero le scale, dirigendosi verso l’uscita principale, che dava sulla strada e non sul cortile della scuola.
    “Ma non faremmo meglio ad aspettare che l’Otherworld se ne vada?” domandò Arcadia.
    A quel punto Belekal aprì la porta, e con grande sorpresa del Raven i due tornarono nella Mestre nebbiosa, ancora incontaminata dal lato oscuro di Silent Hill.
    “Direi che siamo stati fortunati. Ora… fammi strada, Raven. Tu lo sai dov’è la scuola, io no.”
     
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    CAPITOLO DICIOTTESIMO
    SCELTE DETTATE DALL'IMPULSIVITA'



    Le strade erano vuote, le uniche figure che si addentravano nella nebbia erano i due mercenari. Vedere due AC camminare per la città deserta e nebbiosa, così misteriosa e proprio per questo pericolosa, poteva far pensare che chiunque li stesse pilotando dovesse avere coraggio da vendere, o comunque una buona dose di follia a sfidare l’ignoto. Effettivamente, Arcadia si chiedeva come aveva potuto reggere tutto quel susseguirsi di eventi, uno peggiore dell’altro, senza collassare. Aveva visto creature mai pensate da essere mortale o meno, e ne era uscito in un modo o nell’altro, magari anche sul punto di tirare le cuoia, però… era sopravvissuto. Stava cominciando seriamente a chiedersi se era resistere all’inferno che faceva di un Raven un Dominant. Lui aveva affrontato macchine bestiali quali i Pulverizer e gli MT giganti come Ofanim, ma forse quello che stava affrontando in quel momento era di gran lunga peggiore.
    Lanciò uno sguardo a Belekal, che camminava poco distante da lui. Sebbene sapeva che era teso quanto lui, era estremamente impassibile all’occhio, al punto che ci si sarebbe potuto chiedere se fosse una persona a guidare l’AC o un semplice programma di IA. Quei passi regolari e lo sguardo fisso nascondevano un’agitazione resa evidente solo prima, quando i due stavano discutendo prima di uscire.
    Quella camminata li aveva portati a un incrocio. Arcadia sapeva che da qualche tempo era stata piazzata una rotonda, rendendo inutili i semafori dal momento che non era difficile passare tra le macchine ingolfate nel traffico. Vedere quella zona deserta faceva un effetto diverso, senza dubbio uno spettacolo nuovo.
    “Dobbiamo andare avanti. Se continuiamo ad andare dritto, arriviamo prima o poi alla fine di quella via davanti a noi… la vedi?” Arcadia indicò a Belekal la perpendicolare davanti a loro. “Se poi giriamo a destra, non subito ma più in avanti, dovremmo poi poter tirare sempre avanti per quell’altra via, e saremo arrivati.”
    “Va bene, procediamo allora.” rispose Belekal, seguendo Arcadia sull’attraversamento pedonale.
    I due mercenari continuarono lungo la via indicata prima, sempre tenendo un occhio all’ambiente deserto e immobile. Un rumore sospetto ruppe il silenzio, sembrava quello di una persona che aveva calpestato delle foglie secche. Arcadia puntò la pistola nel punto in cui pensava di averlo sentito, e aguzzò la vista. Ma il posto era vuoto, non c’era nessuno. Ciò nonostante tenne l’arma puntata davanti a sé, avanzando davanti a Belekal, che teneva la mano vicino alla Desert Eagle e scrutava l’ambiente alla ricerca del minimo segnale di allerta. Fortunatamente non ci fu bisogno di combattere, e i due riuscirono ad arrivare alla fine della strada per poi girare a destra, come stabilito da Arcadia.
    "Sembra che non ci sia anima viva." disse, guardingo.
    "Anche a me. Forza, avanziamo." rispose Belekal, dietro di lui. I due Raven continuarono ad avanzare, Arcadia in testa.
    Cinque minuti dopo, Arcadia la vide. La scuola elementare, col suo cancello colorato arcobaleno,e il muro coi disegni che sorrideva ai bambini della città, si ergeva di fronte a loro. Mentre la fissava, non poté fare a meno di ripensarci... lui e Alicia si erano incontrati proprio lì. La loro storia di amicizia era cominciata in quel momento... con tutto quello che ne seguì. Una fitta fortissima allo stomaco sopraggiunse in quel momento, ma era naturale. Una parte di lui voleva uscire fuori, urlare al mondo l'affetto provato... ma non poteva. Non doveva sbagliare di nuovo. Doveva controllare le sue emozioni, la sua impulsività... la sua disarmante ingenuità.
    "Arcadia?" una voce lo riportò alla realtà. Belekal lo osservava incuriosito. Arcadia si girò e si accorse che nel pensare assorto gli era scivolata la pistola di mano.
    "Whoops!" corse a rialzarla da terra. Era una fortuna che ci fosse Danger Halley a coprire il suo viso: doveva essere arrossito di colpo.
    "Qualcosa ti affligge, amico?" chiese Belekal, un po' divertito a dire il vero.
    "Ehm... no no, niente!" gli rispose. "Beh, senti, siamo arrivati... che ne dici se entriamo?"
    "E' il motivo per cui siamo qui. Fammi solo dare un'occhiata." Terminata la frase, Belekal impugnò il Barrett e mirò verso l'ingresso, poi abbassò l'arma e disse: "Nessun lucchetto. Dovremmo entrare senza problemi."
    "Bene, questo ci risparmierà tempo." rispose Arcadia.
    I due corsero in fretta verso l'ingresso, attraversando il cortile della scuola. L'aria era leggermente pesante, e la nebbia attorno alla scuola cominciò a infittirsi. A un certo punto, mentre erano nella piazzola antistante l'edificio, sentirono diversi rumori. Come delle urla di creature.
    "Stai in guardia!" urlò Belekal di scatto, puntando il fucile in direzione del cancello. Arcadia si voltò per vedere cosa stesse cercando di colpire, e vide diverse di quelle trottole giganti venire rapidamente nella loro direzione. Belekal non perse tempo, e con un colpo mirato trapassò due di quei mostri da parte a parte, frantumandone parte del corpi. Gli altri si dispersero, procedendo nella loro direzione. Arcadia notò che un gruppetto di loro era ancora poco distanziato, e sparò con il lancia granate per prenderli in una sola volta. Il colpo andò a segno, ma uno continuò la sua corsa, e si scagliò verso Belekal, che non lo aveva visto in tempo.
    "Attento!" Arcadia istintivamente sfoderò la spada laser e cercò di bloccare il colpo, ma nel fare ciò la punta della trottola gigante atterrò sulla sua spalla destra, destabilizzandola e mandandola all'aria rovinosamente; Arcadia, dal canto suo, accusò il colpo, abbastanza grave, e cadde a terra, con la mano sinistra che copriva la brutta ferita che già perdeva. Qualche colpo di Barrett dopo, i mostri erano ormai tutti fuori gioco. Belekal terminò con un colpo di Desert Eagle il Torque accappottato che cercava di ribaltarsi per continuare a correre.
    "Arcadia, stai bene?" Corse in suo aiuto, mentre il ragazzo si teneva ancora la spalla con la mano, come se temesse di vederla cadere con tutto il braccio. "Fammi vedere... accidenti, questa è una bruttissima ferita. Lascia che ti aiuti."
    Qualche minuto dopo, Belekal aveva finito di rinsaldare i legamenti meccanici del braccio di Danger Halley, e aveva tamponato in modo soddisfacente la ferita.
    "Ecco fatto, prova a muoverlo." Arcadia fece quanto gli venne chiesto. Riusciva a muoverlo normalmente, ma gli faceva ancora male.
    "Hmmm, è peggio di quanto pensassi. Dovrai stare più attento... e soprattutto, evita queste tue uscite. Avresti potuto davvero rimetterci la pelle."
    "Ti stava saltando addosso, che avrei dovuto fare?"
    "Sparargli, per esempio? Hai quasi perso un braccio."
    "Non ci ho pensato."
    "L'importante è che sei ancora intero. E comunque, mi hai reso un grosso favore."
    "Era il minimo. Mi stai aiutando tantissimo, nonostante i tuoi trascorsi agghiaccianti... sembri davvero intenzionato a redimerti. Posso leggere la sincerità nei tuoi occhi."
    "Non potrei fare altrimenti. Non sono come Carbon, né ci tengo a diventarlo. Non riuscirei a perdonarmelo."
    "Beh, allora si dà il caso che siamo in due a farci perdonare qualcosa... e a tornare alle luci della ribalta." Arcadia fissò Belekal intensamente. "Andiamo. Abbiamo ancora strada da fare." Gli tirò una pacca sulla spalla, e poi si diresse verso la porta.
    "Certamente." gli fece Belekal in risposta, seguendolo con la Desert Eagle in mano.
    L’interno della scuola era pieno di polvere, e non c’era luce. Sembrava che fosse stato abbandonato da parecchi anni, cosa che però ad Arcadia non risultava affatto. Pensandoci su un po’ giunse alla conclusione che doveva esserci qualcosa di più della duplice dimensione, come un passaggio di mezzo tra il mondo normale e quello infernale: tale passaggio era appunto una realtà nebbiosa, abbandonata, dove nessun’anima si aggirava. Nessuna, a parte alcune persone. Ed esse dovevano avere tutte qualcosa in comune… ma cosa?
    “Queste sono delle scale, ma l’accesso è bloccato.” La voce di Belekal fece cadere l’attenzione di Arcadia su un groviglio di cavi scoperti immersi in una pozzanghera d’acqua, posti proprio sulle scale. Neanche a passarli in salto sarebbe stato possibile, per il modo in cui erano stati disposti, quasi intenzionalmente allo scopo di non far passare nessuno.
    “Strano, eppure non c’è luce. Perché allora i cavi sono ancora attivi?” continuò Belekal, evidentemente pensando a voce alta.
    “Non lo so… però finché non togliamo la corrente da qui non passeremo.”
    “E tu sai dov’è il generatore?”
    “Ehmm… no, purtroppo non ho molte idee. Forse sta in prossimità della palestra.”
    “E la palestra dove sarebbe?”
    “Diamine, neanche questo me lo ricordo… abbiamo tre strade: davanti, a sinistra, e a destra. Se andiamo avanti abbiamo le scale, ma sono bloccate. Quindi suggerisco di provare prima a destra.”
    Belekal guardò la porta di destra, poi rispose: “Sta bene. Andiamo.”
    Arcadia provò ad aprire la porta, ma la maniglia si ruppe. Non si scompose, e tirò una ginocchiata alla porta, che si ammaccò seriamente.
    “Dovremo aprirla così, mi sa.” disse a Belekal, e stava per tirare un altro colpo quando qualcosa percosse la porta dall’altro lato.
    “Hai sentito? C’è qualcosa qui dietro.” Arcadia puntò la pistola in direzione del rumore, e così fece anche Belekal. I due stettero in attesa, mentre le percosse si fecero più frequenti. Infine, la porta si ruppe, e due di quei mostri del bar del liceo saltarono fuori, con le lunghe “code” tese come serpenti pronti a mordere, e gli artigli minacciosi.
    “Spara!!” urlò Arcadia, e i due fecero fuoco. La Desert Eagle di Belekal aveva parecchia potenza, e infatti il mostro da lui colpito soffrì dei colpi; l’altra creatura invece se la cavò meglio, così Arcadia cambiò arma in fretta e passò alla mitragliatrice PIXIE3. Il mostro cercò di saltargli addosso, ma la scarica di proiettili lo colpì in pieno viso, ferendolo seriamente, cosicché fuggì in preda al dolore.
    "Bene, per ora siamo a posto... ma torneranno in forze." disse Belekal.
    "Probabile. Forza, ora la porta è aperta." Arcadia entrò subito nel corridoio, dando un'occhiata all'interno. "Ma porcamiseria, altre porte. E' tutto un labirinto qui dentro."
    "Questa a due ante sembra portare da qualche parte. Che dici, proviamo?" Arcadia annuì, e con una pedata aprì di colpo l'ingresso a quella che sembrava un'aula grande e fatta a gradinate. Improvvisamente gli venne in mente cosa potesse essere. Ora se lo ricordava, era...
    "...l'aula magna. Quella dove ogni anno si organizzavano le recite di Natale."
    "Come scusa?" chiese Belekal, un po' divertito ma anche spiazzato. "Che c'entrano le recite adesso?" Ma Arcadia non lo stava sentendo, la sua testa era ancora una volta altrove. Stava osservando la stanza con interesse, cercando di ricordarsi i vari particolari.
    "Arcadia! Ma mi senti?" urlò Belekal, che era rimasto sulla soglia ed era un po' spazientito.
    "Belekal, aspetta! Sto guardando un attimo com'è combinato questo p... aspetta, questo cos'è?" Si era fermato in fondo all'aula, dove su un grande tavolo c'era un sasso con un bordo tagliente.
    "Guarda qui! Non sembra una di quelle pietre che usavano nell'antichità per tagliare?"
    "Sì, questo lo vedo anche io... ma cosa ci fa qui? Ti ricordi per caso se avevate fatto dei laboratori sulla preistoria?"
    "No, niente di tutto questo... sembra così fuori luogo."
    "Beh, allora cerchiamo altrove. Non vedo generatori."
    "Va bene." Arcadia si incamminò con Belekal verso l'altro corridoio, ma non prima di aver preso il sasso di nascosto.
    I due Raven tornarono davanti alle scale, senza indizi su dove trovare il generatore di corrente.
    “Siamo al punto di partenza.” osservò Belekal. “Abbiamo preso la strada sbagliata. Ora ci rimane l’altro corridoio, ma non ho la più pallida idea di cosa troveremo lì.”
    “Beh, non ci resta che provare. La palestra dev’essere lì per forza.” rispose Arcadia. Entrambi quindi presero il corridoio di sinistra.
    Anche lì vi erano diverse porte, ma alcune di esse non erano solamente chiuse: erano proprio sbarrate con assi e chiodi. Inoltre c’erano anche dei cartelloni con disegni di bambini, ma alcuni di questi raffiguravano scarabocchi dalle forme mostruose: persone sotto tortura, diavoli neri, fiamme rosse, croci nere, e simboli circolari come quelli nel parco. Arcadia non aveva dubbi, quel simbolo era l’Halo.
    “Ehi, guarda questi disegni.” disse Arcadia, rivolgendosi a Belekal. Quest’ultimo si voltò, e osservò il cartellone. “Hmmm, questi non possono essere stati fatti da dei bambini.” concluse poi. “O almeno, non da bambini comuni. Come se portassero dentro di loro delle paure.”
    “Ma non mi risulta nulla del genere… dici che è successo qualcosa di brutto qui?”
    “E’ un’ipotesi. A giudicare dall’aspetto di questo posto.”
    “E se fosse legato a me?”
    “Perché, ricordi di aver fatto qualcosa di brutto qui?” Belekal si era voltato di scatto, e ora guardava Arcadia con curiosità. A quanto pare voleva conoscerlo meglio.
    “Non proprio… cioè, no, semplicemente qui è dove ho incontrato Alicia.”
    “Ah, ho capito. Quindi in effetti è come se questo posto volesse… farti tornare indietro nel tempo? Farti rivivere i ricordi?”
    “No, forse è qualcos’altro.”
    “Cioè?”
    Arcadia raccontò a Belekal la storia di Silent Hill, e di come essa interagisce col subconscio delle persone, modellando l’altra dimensione su di esso e in particolar modo sulle sofferenze, sulle paure, sulle colpe.
    “Dunque tutto quello che stiamo vedendo, affrontando… è tutto creato dal tuo subconscio?”
    “Pare di sì. A giudicare da quanto sta succedendo, questo è quello che penso.”
    “Quindi dobbiamo stare attenti. Tu in particolare.”
    “Lo so.” annuì Arcadia. “Posso farcela. DEVO farcela. Alicia è stata tirata in ballo, e non so perché, ma lei non c’entra nulla con tutto questo. Devo fermare Neith prima che le faccia del male di nuovo.”
    Belekal non rispose, dando comunque segno di aver inteso il senso della frase. Arcadia continuò ad attraversare il corridoio, fino a quando i due non arrivarono davanti a una porta di metallo, di quelle antincendio. Belekal premette la maniglia, ma non successe nulla. “Dannazione, è bloccata!”
    “Fai provare a me.” disse Arcadia, premendo a sua volta la maniglia. Ma anche in quel caso la porta non fece alcun movimento.
    “Aspetta, proviamo così.” Belekal prese il Barrett e puntò la canna verso la serratura. “Tieniti a distanza!” intimò ad Arcadia, e poco dopo sparò. Un colpo fortissimo riecheggiò per tutto il corridoio, e Belekal stesso indietreggiò leggermente per il rinculo dell’arma. Ma niente: la serratura era rimasta intatta, mentre il colpo del fucile si era sciolto all’impatto.
    “Ma che…? E’ una presa in giro questa?” Il pilota era esterrefatto. Arcadia osservò la serratura con il proiettile a pezzi che era rimasto schiacciato sul posto. Ma qualcosa più in basso catturò la sua attenzione, una piccola scritta che era apparsa sotto la serratura.
    “Qua c’è qualcosa! <<voi che combattete… con armi in metallo… ai nostri tempi…>> Ah, aspetta, qua si legge poco. <<ai nostri tempi… le facevamo con l’aiuto di Madre Terra.>>”
    “Cosa? Che vuol dire?”
    “Sta parlando di armi. E dice che noi usiamo quelle in metallo. “ Istintivamente, Arcadia osservò la sua pistola. “Qua dice anche che ai loro tempi le facevano dalla terra… ma in che senso? E loro chi?”
    “Dalla terra… come si fanno armi con la terra?”
    “O forse con la pietra… ASPETTA! Ai loro tempi! Sono uomini preistorici che parlano!”
    “E le armi di pietra… ehi Arcadia! Che stai facendo?” Mentre Belekal pensava, infatti, Arcadia aveva tirato fuori il sasso affilato e aveva cominciato a percuotere la porta. Dopo un po’, il metallo cominciò a piegarsi, mentre la serratura si stava rompendo sotto lo sguardo incredulo di Belekal.
    “Assurdo. Semplicemente assurdo.”
    “Non ci avrei creduto nemmeno io se l’avessi solo visto.” rispose Arcadia, mentre cominciava a crearsi un buco sull’anta sinistra del portone. “Ho voluto prenderlo per tenerlo, ma mai avrei immaginato di usarlo per sfondare una porta antincendio.” Come finì la frase, il sasso si spacco in due, mentre la porta era ormai divelta. “Ah accidenti! Addio souvenir.”
    “Non siamo qui per prendere souvenirs!” lo rimproverò Belekal.
    “Ehi, guarda che lo so.” rispose Arcadia piccato. “Era per dire… dai, su, andiamo avanti.” I due ripartirono quindi alla volta della palestra, che per loro fortuna non era distante. Erano infatti giunti nel corridoio dello spogliatoio, e la palestra era poco più avanti.
    “Ok, ci siamo.” osservò Belekal. “Ora… il generatore, sai dove sta?”
    “Non di preciso. So solo che è qui vicino, ma non altro.”
    “Beh, proviamo a dare un’occhiata.”
    “Dici che quel pannello elettrico può funzionare ugualmente?” Arcadia indicò un quadro elettrico con diverse leve, compresa una che doveva attivare l’elettricità.
    “Bingo.” gli fece Belekal di rimando, andando subito a tirare giù l’interruttore. Di colpo le luci della palestra si accesero, mentre quelle poche che erano accese lì intorno si spensero.
    “Possiamo tornare indietro adesso.” disse Arcadia. Fece per avviarsi, ma si voltò. Belekal era rimasto lì, come se stesse aspettando qualcosa. “Ehi, cosa c’è che non va?”
    “Non mi piace la situazione… perché le luci della palestra si sono accese?”
    “Cosa? Dici sul serio?”
    “Vieni qui, e guarda tu stesso.” Arcadia fece come richiesto, ed effettivamente vide che era illuminata.
    “Ma… non ha senso!”
    “Ed è per questo che voglio andare a controllare. Voglio vedere cosa c’è qui.”
    “Aspetta, non dovevamo andare di sopra?”
    “Tu vai. Io resterò qui.”
    “Ma…” Arcadia cominciò, ma Belekal alzò una mano per interromperlo.
    “Tu devi andare. Alicia ha bisogno di te. Devi scoprire cosa sta facendo Neith, e fermarlo. Prima che tutta la città cada sotto il suo controllo, e soprattutto prima che Alicia venga catturata di nuovo. Non posso più tirarla in salvo, adesso sta a te.”
    “Ma da solo potrei non farcela…”
    “Ma è questo il punto! Devi farcela da solo!”
    “Da solo? Ma ho appena detto che…
    “Cosa vuole il tuo inconscio? Che Alicia viva, o che muoia?”
    Arcadia fu colpito da quella domanda. Certo che voleva che Alicia vivesse! La rabbia e il rancore verso di lei erano ormai lontani, tutto quello che lui voleva era salvarla. Non poteva abbandonarla.
    “Mi sembra ovvio.” rispose deciso a Belekal. “Devo salvare Alicia.”
    “Benissimo. Allora devi andare. Anche da solo.”
    “E se non ce la facessi?”
    “No, Arcadia. Non pensare che potresti non farcela. Devi essere sicuro di te stesso. Devi farlo per lei.”
    Arcadia inspirò a lungo, poi espirò d’un fiato. “Ok. Andrò fino in fondo a questo casino.” disse infine. “Ho promesso ad Alicia che l’avrei protetta. E… ho promesso a Neith che l’avrei ucciso.”
    “Confido nelle tue capacità. Abbi fiducia in te stesso, ma non dimenticare con chi hai a che fare.”
    Arcadia annuì. “Capito.” Si voltò e cominciò ad andare verso il corridoio, ma poi guardò ancora Belekal. “Ci rivedremo?”
    “Se Dio vorrà.”
    “Sì… sempre se stiamo parlando dello stesso Dio.” fece Arcadia con una smorfia, ovviamente celata dall’impassibile volto robotico e temerario del Danger Halley.
     
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    CAPITOLO DICIANNOVESIMO
    PER ASPERA AD ASTRA



    Mentre camminava per il corridoio, Arcadia non poté fare a meno di pensare a tutto quello che era successo in cinque anni in quella scuola, non solo al tempo trascorso con Alicia. Era passato tanto tempo, la scuola sembrava irriconoscibile, anche perché quel qualcosa che aveva fino a quel momento caratterizzato il suo passaggio nell’altra dimensione tendeva a coprire gli ambienti con la nebbia e con la polvere. Gli sembrava di essere improvvisamente fuori posto… era davvero quello il teatro dei suoi anni d’infanzia?
    Con la testa tra le nuvole, Arcadia giunse alle scale, e notò che i cavi erano spariti. Non spenti… spariti proprio. E c’era qualcuno lì vicino, anche se questo dettaglio cambiò completamente il suo stato d’animo. Un Neith Necris, con tanto di Divine, era sulle scale, anche se senza tutto l’arsenale col quale aveva attaccato Alicia. Sembrava che fosse stato travolto da uno schiacciasassi, esattamente com’era stato ridotto dal Fracture della ragazza.
    “Non è possibile… TU?” disse Arcadia, mentre la rabbia gli montava in corpo. Chi avrebbe potuto impedirgli di ucciderlo?
    “Perché insisti, Raven?” fece Neith di rimando. Il tono insolitamente flebile lo scosse ancora di più. “Perché continui in questa folle impresa?”
    “Folle impresa? Tu hai quasi ucciso Alicia, e questa… ho giurato che te l’avrei fatta pagare!”
    “Perché combatti per esseri che non ti meritano?”
    “Che diavolo stai dicendo?” Neith non rispose. “RISPONDIMI!” gli urlò allora.
    “Tu non sei come gli altri. Cerchi di esserlo, ma continuamente fallisci, e puoi solo ripiegare nella solitudine che ti porti dentro.”
    “Tu non sai niente di me… Silent Hill lo sa! Ma tu no! Tu sei solo un viscido mostro!”
    “Davvero mi fai così crudele? Davvero non capisci? Tutto questo che io sto facendo… è anche per il TUO bene.”
    “Ah sì? E pensi di fare il mio bene cercando di uccidere una ragazza innocente?”
    “STOLTO!” Di colpo il tono di Neith si fece feroce, forse anche più di prima. “Chi ti dice che sia innocente?”
    “Ho scoperto la verità. Lei non mi ha abbandonato.”
    “Da fuori forse, ma Raven! Lei ti ha abbandonato nel cuore!”
    “E con ciò? Lo so quale sarà il nostro destino! E sono pronto ad accettarlo!”
    “Accettarlo?”
    “Sì Neith! Ho compreso i miei errori, e sono pronto a tutto per eliminarli uno alla volta… sto per arrivare a guardare in faccia l’oscurità dentro di me. E tu…” Dicendo queste parole, Arcadia alzò la lama laser della LB2 verso Neith. “…tu non mi fermerai.”
    Neith non si mosse. Lo guardò, poi rispose: “Sta bene. Accomodati allora, Raven. .
    Ma comprenderai presto che il tuo fervido coraggio non tiene conto di un paio di piccoli particolari che, a quanto sembra, ti ostini a non vedere.”
    “E sentiamo. Quali sarebbero?” fece Arcadia, beffardo.
    “Io sono ancora vivo. E la mia missione non cambia. Ti avverto, presto o tardi le nostre strade si incroceranno ancora… è destino che sia così.”
    “Solo perché tu ti ostini a rovinare il mio mondo, altrimenti sarebbe tutto più semplice.”
    “Tu non capisci… io e te siamo legati indissolubilmente.”
    “E ti aspetti che io creda a queste parole?”
    “Ahahahah! Pensala come vuoi, Arcadia, ma presto comprenderai le mie parole… e chissà che magari tu non mi dia finalmente ragione!” Dopo aver detto ciò, Neith scomparve in un’esplosione di fumo, il che lasciò Arcadia impreparato a quest’uscita di scena. Il povero ragazzo ora era pieno di interrogativi e la cosa peggiore era che Neith rischiava di fargli dubitare della sincerità di Alicia. Una delle sue motivazioni più forti rischiava di crollare.
    “Ma non c’è solo Alicia. Anche senza di lei, io devo fermare tutto questo. Devo sconfiggere le mie paure, i miei errori… devo fare chiarezza dentro di me.” concluse tra sé Arcadia. “Sono arrivato così vicino alla verità, e non tornerò indietro.” Fece un respiro profondo, poi si diresse su per le scale per andare al piano superiore. Era a metà strada, con gli scalini impolverati, ma una volta svoltato l’angolo poté finalmente vedere il piano superiore. Qualcosa però non quadrava: non solo era tutto buio, ma un cancello in ferro battuto bloccava l’ingresso. Decise di procedere comunque, al limite avrebbe lo avrebbe sfondato. Ci mise una mano sopra, e spinse per aprire. Con sua sorpresa, il cancello non oppose resistenza e si aprì diligentemente. Arcadia poté dunque entrare al piano superiore, dove la prima cosa che vide era la porta di un’aula particolare: da lì infatti si poteva accedere al balcone che dava sul cortiletto antistante l’ingresso. A sinistra delle scale vi erano diverse aule di cui non aveva mai capito l’utilizzo, a parte un paio: una biblioteca, un ambulatorio, e probabilmente degli uffici presidenziali. A destra invece vi erano le aule vere e proprie, con anche la mensa, e in fondo da quella parte c’era una porta antincendio che dava su un altro giardino dove le insegnanti portavano le classi durante l’intervallo, non molto frequentemente ma era comunque l’idea più gettonata tra le giovani scolaresche.
    Arcadia stava cercando di ricordarsi altro, ma una specie di grido lo fece girare verso le scale: il mostro di prima stava risalendo per inseguirlo. Si guardò attorno, e altri esemplari della stessa creatura stavano arrivando. Almeno sette mostri lo stavano circondando. Le previsioni di Belekal erano corrette, ma ciò non toglieva che era nei guai adesso.
    “Cinque, sei, sette… oh magnifico, non ho dove scappare.” osservò Arcadia, per nulla rassicurato della situazione. I mostri da sinistra si stavano avvicinando in fretta, e lui non aveva armi particolarmente efficaci; non poteva nemmeno usare il lanciagranate, poiché a distanza ravvicinata sarebbe stato pericoloso. L’unico modo per fronteggiarli era usare la spada laser, ma era in netto svantaggio numerico. Doveva temporeggiare, portarsi a distanza per colpirli con l’artiglieria, ed eventualmente finirli con colpi di spada laser. Quindi fece la prima cosa che gli venne in mente: corse verso il mostro che era venuto dalle scale, e gli saltò addosso. Quello cercò di bloccarlo, già pronto a stritolarlo con le braccia, ma Arcadia tese una mano verso il suo collo. L’impatto spinse la creatura a terra, mentre il Raven teneva stretta la mano, per poi spaccare il cranio della bestia in due con un colpo secco di spada. Intanto i mostri da sinistra, che erano due, stavano per saltargli addosso; egli scattò verso di loro, tuffandosi dietro di loro sfruttando uno spazio tra le due creature, e una volta dietro continuò a correre finché non fosse a distanza di sicurezza. I mostri si accorsero in ritardo dell’inganno, e ruggirono feroci, voltandosi per inseguirlo; lui armò il lanciagranate e gli sparò addosso, spazzandoli via. Ora ne rimanevano quattro, ed erano a distanza di tiro. Arcadia riprovò a fare fuoco, ma non successe nulla.
    “No! Non adesso!” urlò, controllando le riserve di munizioni e scoprendo, con sua amara sorpresa, che erano appena state esaurite. Guardò in lontananza i quattro mostri che lo stavano mettendo al muro, pensando a un modo per uscirne fuori. Se non poteva combatterli, restava la fuga; ma come poteva scappare ora che effettivamente di vie d’uscita non ce n’erano?
    “Mi serve un’arma, ora.” pensò. “Nulla di quello che ho è abbastanza potente avendo allo stesso tempo un raggio d’azione decente. Non posso sparargli con una mitragliatrice o una pistola, finirei le munizioni.” Cominciò ad appiattirsi al muro, cercando di attirarli in modo da averli uno vicino all’altro: avrebbe tentato un colpo di spada abbastanza ampio da prenderli tutti.
    All’improvviso, un rumore come di fulmini, poi un paio di lampi azzurri colpirono un paio dei mostri.
    “Fracture!” fu la prima cosa che gli venne in mente. Gli altri due si erano girati attirati dal rumore. Arcadia non perse tempo, corse verso quello più vicino e lo spinse a terra, bloccandolo al suolo con un fendente sulla nuca. L’altra creatura rivolse l’attenzione verso di lui e cercò di colpirlo con la coda, ma il Raven fu più veloce e intercettò l’attacco tagliando parte della coda. Si preparò al contrattacco del mostro, che non si fece attendere. Ma il Fracture di Alicia era stato più veloce, e lo prese da dietro con la sua spada laser, passando la bestia da parte a parte. Esso emise qualche strano verso per un altro paio di secondi, poi al ritrarsi della lama della ragazza si accasciò al suolo, morto come tutti i suoi simili.
    Arcadia si accovacciò al suolo, abbastanza provato dallo scontro. Poi si rialzò, guardando Alicia che intanto aveva dismesso Fracture e si aggiustava il Battle Watch.
    “Tempismo perfetto.” le disse, non senza un sorriso. Alicia tuttavia non rispose e si avvicinò a lui.
    “Dove diamine eri finito?” gli disse, e dal tono di voce era spaventata e anche un po’ arrabbiata. “Ti pare il modo di lasciarmi? Da sola? Ma cosa ti è saltato in testa? Vorrei non perdere la pazienza ma stavolta ti sei comportato da vero deficiente!”
    “Alt! Fermati, per favore! Posso raccont…”
    “ZITTO!” nel dirgli questo gli aveva tirato un calcio sul ginocchio destro, che era ancora leggermente provato, il che fece scendere Arcadia in ginocchio. “Hai almeno la più pallida idea dello spavento che ho preso? Potevo morire!”
    “No aspetta…”
    “Ma aspettare cosa? Mi hai lasciata da sola, e io non so difendermi come si deve! E anche tu… hai già rischiato di morire una volta, cos’è, vuoi tentare il suicidio o cosa?”
    “Se mi lasci almeno parlare!”
    “No che non ti lascio. Avevi detto che saresti stato sempre con me… e invece mi hai abbandonata in quell’ospedale, con… questo coso…” Alicia si sfilò il ciondolo. “Hai avuto fortuna che non ho incontrato alcun tipo di mostro altrimenti a quest’ora mi avrebbero già fatta a pezzi.”
    “Ma appunto! E’ quel ciondolo che…”
    “Non tirarmi fuori scuse, Arcadia. Vuoi andare avanti da solo? Benissimo! Vai allora. Io continuo per la mia strada.” terminò la frase con la voce spezzata, mentre una lacrima le rigava il volto. “Tu e i tuoi bei discorsi… ma vai al diavolo!” Detto questo, scagliò il ciondolo a terra, e si mise a correre in direzione della porta che dava sul giardino.
    “ASPETTA, ALICIA!!” urlò Arcadia, ma era inutile; provò a rincorrerla, ma il ginocchio protestò. D’altronde se l’era aspettato… non voleva lasciarla da sola, ma Belekal lo avevo convinto a lasciarla nelle mani di quel ciondolo. Lasciarla lì, ancora convalescente… Arcadia credeva davvero che quel finto proiettile avesse qualche proprietà, ma non era una buona scusa. Le aveva fatto una promessa, e come al solito l’aveva infranta. Si accasciò sul posto, osservandola mentre si allontanava nell'oscurità, poi cominciò a piangere. Aveva fatto l’ennesima cazzata, e aveva buttato via la sua ultima possibilità in quel modo. Alicia aveva forse reagito troppo violentemente, ma lui l’aveva riempita di belle parole per poi smentirsi. Lui non sopportava le prese in giro; poteva capire, quindi, come si sentiva Alicia.
    Il buio attorno a lui si faceva più cupo, e i singhiozzi più intensi. Arcadia percepiva che qualcosa stava cambiando… la dimensione alternativa stava tornando, questa volta a prendersi gioco del suo fallimento nel luogo meno appropriato per lui per affrontare una cosa del genere, e soprattutto nel momento meno appropriato. Silent Hill stava tornando, ma nel suo pianto a dirotto Arcadia non mosse un dito. Forse non si stava neanche rendendo conto che stava tornando nella dimensione dei suoi incubi peggiori.
    E neanche Alicia.
     
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  6. Hanna Rye
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    CAPITOLO VENTESIMO
    L'INERME SPETTATORE DEL PROCESSO



    Arcadia si svegliò lungo disteso. Aveva pianto così tanto che era svenuto, e l’ultima cosa che aveva sentito era quella dannata sirena. La prima cosa che fece fu controllare il pavimento, e come aveva previsto era ridotto malissimo e in alcuni punti sporco di sangue. Si rialzò, e la prima cosa che notò fu che non era nel corridoio del piano superiore. A giudicare dai cartelloni appesi ai muri, pieni di simboli Halo rossi e di altre rune, era al piano terra. Guardò di sopra, e vide un buco sul soffitto: doveva essere caduto. I muri erano neri inchiostrati di catrame misto a sangue e a pezzi di carta giallognola con scarabocchi. Arcadia osservò più da vicino, e riconobbe uno stile di scrittura medievale. Lesse anche alcune parole senza alcun nesso apparente: era latino.
    “Ottimo. Alicia mi ha lasciato per sempre, Belekal è sparito, e io sono finito ancora una volta in questa città schifosa. Ora che f…” non terminò la frase, pensò un attimo poi esclamò: “ALICIA! Anche lei è rimasta qui!” Si girò verso l’atrio dell’edificio e corse più veloce che poté. Anche se l’aveva liquidato in una maniera orribile, non poteva lasciarla lì. Aveva comunque detto che l’avrebbe salvata, e pur avendo combinato l’ennesimo casino avrebbe portato a termine quel suo compito. L’aveva promesso a lei, l’aveva promesso a Belekal, l’aveva promesso a sé stesso. E comunque era il motivo per cui era diventato un Raven: salvare le persone in pericolo, specialmente quelle a lui più care.
    Corse per una buona decina di metri, poi si fermò. Dove era Alicia? Dove sarebbe dovuto andare lui? E dov'era Neith? Perché c'era anche lui da tenere in considerazione, dato che era nella scuola. Si guardò attorno per cercare indizi, segnali, e riconobbe le scale, rimaste stranamente immacolate. Guardò poi verso l'uscita, e non si scompose nel trovarla sbarrata: l'unico modo per uscire da Silent Hill era lo stesso col quale ci era arrivato. Visto che non aveva altra scelta, prese le scale e continuò il suo cammino al piano di sopra. La prima cosa che notò una volta arrivato era che in alcuni angoli vi erano mucchietti di paglia, e qualche scheletro incompleto, come una catacomba. Le ossa sembravano di pietra, ed erano chiazzate di catrame per via del soffitto che ne faceva gocciolare dei piccoli pezzetti ogni tanto. Davanti alla cattedra antistante l'aula col balcone c'era un teschio con un vecchio pugnale conficcato sul lato sinistro del cranio. La porta della stanza era aperta, e dato che non aveva dove iniziare Arcadia pensò che poteva essere un buon punto di partenza.
    L'interno dell'aula era sorprendentemente diversa dal resto della scuola: le pareti erano in pietra, ma non erano sporche di sangue. All'interno vi erano un paio di banchi appena, malconci e ammucchiati in un angolo. Asce bipenni e lance giacevano raggruppate sul lato vicino al balcone, che era chiuso non da una porta ma da un cancello in ferro battuto. Arcadia lo guardò: era lo stesso identico cancello della dimensione nebbiosa che dava l'accesso dalle scale al piano dov'era lui in questo momento. A differenza di allora, però, il cancello era chiuso e un grosso lucchetto dall'aspetto arrugginito ma ancora ben solido.
    "Oh, questo cancello è chiuso a chiave. Però il lucchetto non ha serratura... come faccio ad aprirlo?" Si guardò attorno, ma c'erano pochi mobili spogli e vecchi., Nessun segno di chiavi o di utensili per forzare il lucchetto. Ma d'altronde sarebbe stato impossibile, non aveva una serratura da aprire. Fece qualche passo indietro e tirò un calcio al lucchetto, ma la porta si scosse solamente senza tuttavia cadere giù.
    “Niente. Non posso forzare la serratura, e non riesco a fare forza sulla porta. Dovrò provare qualcosa di diverso, anche se al momento non mi viene in mente nulla.” concluse. Per un attimo guardò la LB2, come se gli fosse venuta in mente un’idea, poi decise che era meglio cercare altrove. Guardando la soglia che dava sul corridoio però non era molto tentato di uscire da lì. Fece un rapido inventario delle armi a sua disposizione, saltando con gran dispiacere il lanciagranate che non poteva servirgli in quanto era a secco, e notò subito che ce n’era una della quale si era completamente dimenticato: la balestra.
    “Santo cielo, questa sì che è una bella notizia! Dovrebbe fornirmi la potenza giusta per far secche quelle bestie.” Questo piccolo accorgimento gli aveva dato un po’ più di fiducia, ma un’altra domanda sorse in testa ad Arcadia: dove poteva andare? C’erano parecchie stanze, e come al solito non aveva indizi sufficienti. Si decise che non serviva a molto stare lì senza fare niente, dunque uscì dall’aula. Avrebbe pensato al momento sul da farsi.
    Il corridoio era ancora buio, nulla era cambiato. Anzi, il fatto stesso che fosse stranamente silenzioso non rassicurò affatto Arcadia. Non aveva trovato mostri da quando Silent Hill era tornata incombendo sulla scuola, e non vi erano pericoli particolari in giro. Benché fosse una fortuna, tuttavia questo non era indice che il posto fosse sicuro… non per Arcadia, almeno.
    Si voltò verso la parte del corridoio con le aule dei servizi vari, e poté vedere il buco nel pavimento dal quale era presumibilmente caduto mentre aveva perso i sensi. C’erano calcinacci e pezzi di pavimento attorno al bordo, e là attorno c’erano ancora i mostri di prima. Arcadia si avvicinò, e notò subito che uno di essi aveva qualcosa di strano, come se portasse al collo un oggetto. Guardò meglio, ed era una chiave. Non solo: qualcuno aveva messo il ciondolo proiettile lì vicino, ed effettivamente quella zona del corridoio era meno distorta per via di Silent Hill rispetto al resto della scuola. Arcadia non esitò a prendere la chiave e il ciondolo, poteva farne qualcosa di sicuro. Fece per cercare altro nei paraggi, ma un rumore di passi lo fece voltare: una figura scura stava attraversando di corsa il corridoio, e a giudicare dalla direzione doveva essere diretta verso la mensa. Si affrettò quindi a raggiungerla, eventualmente se fosse stato un mostro lo avrebbe ucciso, o magari avrebbe semplicemente evitato di farsi vedere se possibile.
    La porta della mensa era sporchissima, come se qualcuno ci avesse vomitato sopra e si fosse dimenticato di pulire. Macchie di cibo bruciato insozzavano la soglia e i muri circostanti, e un coltello da cucina vi era rimasto conficcato. La maniglia era arrugginita, e perdeva pezzi di smalto. Arcadia la aprì senza problemi, ed entrò. I tavoli erano tutti spostati verso i bordi, rovesciati su un lato, tranne un banco diverso dagli altri sul quale erano poggiati una fiala e un pezzo di carta. Vi si avvicinò, e cominciò a leggere quella nota.
    “Questi bambini sono indisciplinati oltre ogni misura! Ogni volta buttano via il cibo, e sono capricciosi come non mai! E per colpa loro rischiamo pure di rimetterci: pensa che una mia collega, l’altro giorno, ha chiuso a chiave fuori al balcone uno dei più lagnosi… i genitori erano furibondi, a quanto pare il piccoletto ha imparato la lezione a tal punto che stava cercando di addentare il lucchetto. Questi piccoli diavoli sono ingestibili!”
    Arcadia gettò via il pezzo di carta, e osservò la fialetta. Dopo un po’ capì cos’era. “Succhi gastrici.” scandì lentamente tra sé. Ripensò a quello che aveva letto, poi gli venne in mente un’idea: poteva essere che il lucchetto di prima aveva qualche sorta di protezione? Sembrava una trovata malsana, improbabile, ma valeva la pena provare. Uscì quindi dalla mensa, e tornò di corsa davanti alla porta chiusa a chiave. Stappò la fialetta e ne versò il contenuto sul lucchetto. All’inizio non successe nulla, ma poi si levarono delle urla da fuori al balcone. Arcadia si tappò le orecchie, aspettando che passasse. Dopo un minuto scarso, il grido era andato. La serratura era ora ben visibile, e Arcadia provò la chiave per vedere se andava bene. Per sua fortuna, funzionò perfettamente, come confermato dallo scatto della porta. Era un po’ preoccupato, poiché era la prima volta che usciva all’esterno da un posto che era stato devastato da un’altra dimensione, se non contava il parco. Si fece coraggio, e attraversò la soglia.
    La piazzola c’era ancora, ma gli alberi erano secchi e anneriti. Tutto era al suo posto, o quasi: le biciclette non c’erano, le luci erano in parte rotte, e il cielo era nero come la pece. Nessuna stella, nessuna luna, niente di niente. Si accorse però di un drappello di figure nell’oscurità che stava avanzando verso l’ingresso. Si affacciò meglio, e cercò di capire chi o cosa fossero.
    Aprivano la fila due persone incappucciate, il volto coperto, con ciascuna un’alabarda. Dietro di loro quattro figure più basse vestite di stracci che sembravano zombie. Dietro ancora, altri due incappucciati che tenevano bloccata una persona e la portavano di peso. Chiudeva la coda uno di quei mostri della scuola dalle braccia larghe e le gambe sottili. L’attenzione di Arcadia si era concentrata sul prigioniero, e mentre il gruppetto si avvicinava poté pian piano distinguerne sempre più i particolari. Una ragazza in jeans e maglietta, e a giudicare da quanto sporchi erano i vestiti doveva aver lottato per non farsi prendere. Ora però gli sorgeva un dubbio. C'era solo una persona vestita in quel modo che lui conosceva: Alicia. Si sporse dal balcone per vedere meglio, nella speranza di sbagliarsi.
    "Lasciatemi andare! Che cosa volete da me?" urlava intanto la ragazza, mentre si divincolava.
    "Dannazione, non potete tirarle qualche calcio? Questa femminuccia mi sta dando sui nervi!" disse uno degli incappucciati.
    "Taci idiota! Neith la vuole viva!"
    "Fottiti, fosse per me l'avrei già uccisa!"
    "Aspetta che riesca a liberarmi, e vedrai cosa ti combino io!" gli rispose lei. Al che la figura incappucciata non si trattenne e le tirò una ginocchiata in pieno addome, facendola urlare ancora di più. Ormai erano molto vicini all'ingresso, e non c'erano dubbi: quella ragazza era Alicia, ed era riuscita a liberarsi dalla stretta, ma non poteva rialzarsi per il dolore. Improvvisamente guardò sopra, e i loro sguardi si incrociarono, entrambi tra lo stupore e la disperazione.
    "Chi sei? Aiutami!" gridò lei, cercando di attirare la sua attenzione. Arcadia fece per rispondere, ma niente si mosse. La bocca non si aprì di un millimetro. Rimase immobile a osservare, mentre la sua mente rimaneva incredula di fronte a ciò che stava succedendo. Il suo corpo non rispondeva agli stimoli, ai suoi stessi ordini.
    "Arcadia! Sei tu?" urlò Alicia di nuovo. "Arcadia, rispondimi, ti prego!" Di nuovo, non si mosse, nonostante volesse farlo.
    "Ah ha! Ti abbiamo presa!" Uno degli incappucciati l'aveva raggiunta, e ora la stava trascinando all'interno della scuola.
    "Arcadia! Aiutami! Perché non mi rispondi? IO NON VOLEVO!" le urla della ragazza si fecero distanti mentre il drappello entrava nell'edificio, sotto lo sguardo indifferente del Raven, e anche dopo che erano spariti dalla sua vista il suo corpo rimase in quella posizione per un altro minuto, mentre nella sua testa vorticavano pensieri angosciosi. Non si era mosso assolutamente, aveva lasciato che la prendessero, che la portassero da Neith... ma perché tutto d'un tratto non riusciva a muoversi, come se mente e corpo si fossero separati di colpo?
    Mentre cercava di trovare un senso a tutto questo, improvvisamente la tensione dentro di lui si sciolse, e crollò a terra come se non fosse più capace di reggersi in piedi. Provò a rialzarsi, ma quella sensazione di mancanza di controllo era ancora viva. Nessuno dei suoi arti rispondeva agli impulsi, e non poteva muoversi. All'angoscia per la sorte di Alicia si aggiunse la paura per la sua, oltre a un terribile senso di impotenza. Non poteva combattere in quello stato. Fece quindi la prima cosa che gli venne in mente, cioè chiudere gli occhi, e notò che quello era l'unico movimento che poteva fare. Li tenne chiusi per un bel po', mentre la paura aumentava, sperando di potersi muovere di nuovo, o quantomeno che finisse in fretta.

    "Portatemi qui il ragazzo. Devo mostrargli la verità."

    "Forza, prendetelo." disse una voce roca, bassa, e quasi stanca. Subito dopo, un rumore di passi, e poi diverse paia di mani che sollevarono Arcadia di peso.
    "...cosa... chi sono?" fu la prima cosa che pensò. "Queste sono persone... o mostri?"
    "Porcamiseria, se pesa! Non lo si può togliere da questo dannato robot?" protestò un'altra voce.
    "Ci ho già provato, idiota, tutto inutile." gli rispose quella stanca. "Non importa, lo uccideremo anche così."
    I quattro lo avevano ribaltato pancia all'aria, e Arcadia poteva vedere il soffitto scorrergli sopra. Girò leggermente gli occhi senza farsi vedere, e notò che essi portavano un cappuccio. Con ogni probabilità erano gli stessi che avevano portato via Alicia.
    "Dove mi stanno portando?" si chiese. "E dov'è Alicia?"
    Dopo un minuto o due di camminata, arrivarono in fondo al corridoio. Arcadia riconobbe il portone che dava sul giardino, per quanto rovinato e distorto dalla realtà demoniaca. Uno degli uomini lo aprì a forza, facendolo stridere rumorosamente, poi tutti quanti uscirono fuori.
    L'erba all'esterno bruciava, e c'era un calore tremendo. Al centro dell'area, che era all'incirca di sette metri per otto, si ergeva un patibolo simile a quello che si usava in antichità per impiccare i condannati a morte. Era lì sopra che Neith lo stava aspettando, mentre gli incappucciati lo raggiungevano dopo aver lasciato Arcadia sulla soglia, sopra alle scale. Egli rimase attonito nel vedere che quegli uomini camminavano tra le fiamme senza prendere fuoco.
    "ARCADIA!!" L'urlo di Alicia colse la sua attenzione: c'era anche lei, ed era appesa per i polsi a uno strano meccanismo. La leva di attivazione era vicino a Neith, e a giudicare da come il macchinario era impostato minacciava di far cadere la ragazza in un enorme buco ad ogni istante.
    "NEITH!!" urlò Arcadia di rimando, ignorando il fatto che all'improvviso aveva ripreso a muoversi e a parlare: era troppo impensierito dalla situazione di Alicia. "Lasciala subito andare! Perché insisti?"
    "Raven... io e te abbiamo parlato anche troppo. Ti ho detto tutto ciò che devi sapere."
    "Non mi interessa! Lei non c'entra nulla!"
    "Non credo proprio!" Neith nel dire questo tese una mano, indicando Arcadia, che di colpo si immobilizzò, esattamente come sul balcone.
    "Che stregoneria è questa? Smettila!" Cercò di divincolarsi, ma non si mosse di un millimetro.
    "Bene... ora che sei finalmente pronto, lascia che ti legga la mia umile lista di accuse che ho da muovere nei confronti della tua amichetta." Neith si avvicinò alla leva, poi prese da terra un foglio ingiallito, e cominciò a leggere.
    "Dunque... cosa abbiamo qui? Tradimento... inganno... umiliazione... oh guarda qui, sembra ci sia anche la lussuria. Non l'avresti mai detto eh? Ah ah ah ah!"
    "Quello te lo sei inventato, sadico di merda!" urlò Alicia infuriata. "Credi di poter sfruttare il mio legame con Arcadia per trovare una scusa a tutto questo? Credi di risultare convincente scambiandomi per una puttana senza ritegno? Ma dico io, per chi mi hai preso? Sei solo un assassino, ecco quello che sei, Neith!"
    "Trovo che sia anche giusto uccidere... considerato con chi ho a che fare. E inoltre, tu accusi ME di usare il tuo amico per i miei fini. Ma dimmi, allora, TU... cos'hai fatto?"
    "Io non ho fatto niente!" Si volse verso Arcadia. "Ascoltami ti prego! E' vero, sono stata cattiva con te quella volta! E' stata dura anche per me però, devi credermi! Io... avrei voluto evitare!"
    "Alicia, ne abbiamo già p..." cominciò lui, ma lei lo interruppe.
    "DOVEVO farlo! Per entrambi... per te soprattutto." Le lacrime cominciarono a solcarle il viso. "Non potevo dirtelo apertamente, Arcadia, ma volevo aiutarti... l'ho fatto perché ci tenevo a te, e alla nostra amicizia."
    "Io... non so cosa dire..."
    "Non devi dirmi nulla, Arcadia." Alicia continuò a piangere, ma si sforzò di sorridere e di assumere un tono deciso e sicuro. "Non lo so se ho fatto bene, questo lo devi sapere tu... se é servito a farti crescere, a farti diventare più forte, allora sì, avrò fatto bene. Più ti guardo, e più mi sento felice di averti ritrovato."
    Neith sbuffò. "Tutto inutile, ragazzina. Lui non ti ascolterà. Sei finita."
    "Lasciala andare. SUBITO!" Arcadia continuò a cercare di muoversi, senza tuttavia riuscirci.
    "Non ci penso nemmeno." Per tutta risposta, egli strinse la mano attorno alla leva, mentre l'enorme buco si apriva al di sotto di Alicia. "Sai, prima di finire qui, c'è un dettaglio di cui vorrei renderti partecipe. Ti ricordi quando ti ho detto che siamo legati indissolubilmente?"
    "Non credo c'entri con questo! Aspetta solo che riesca a muovermi, e vedrai di cosa ti renderò partecipe io."
    "E' un peccato che tu sia così poco disposto a saperne di più... ma non importa, ci vuole poco a capirlo. Sai perché Divine e Danger Halley sono stati costruiti nello stesso momento? Sai perché i nostri frame sono simili? Sai perché ce l'ho particolarmente con Alicia? Sai perché le accuse che le ho rivolto assomigliano così tanto alle tue?" Arcadia cominciò a raggelarsi. "Sì... mi sa che hai capito ora! Noi... siamo uguali! Ecco perché temo la tua potenza! IO SONO QUELLO CHE TU NON HAI IL CORAGGIO DI ESSERE!"
    "Non ti credo! Non ti crederò mai!" gridò Arcadia.
    "Credici invece! Tu non hai il coraggio di usare il tuo potere per dominare il mondo, perché sei un debole di carattere! E non hai il coraggio di punire Alicia per quello che ti ha fatto, perché sei un povero vigliacco! Tu porti dentro di te il potenziale più grande che l'uomo abbia mai avuto... E LO STAI GETTANDO VIA! Ma io, Neith Necris, non lo permetterò! Io ucciderò te e questa stronza, e mi impadronirò di tutto ciò a cui tu hai voluto rinunciare!"
    "Scordatelo!"
    "Arcadia, ti prego, fermalo!" urlò lei, disperata, mentre cercava di divincolarsi, ma le corde erano troppo strette.
    "Allora vieni a fermarmi se ci riesci, Raven!" Con questa risposta Neith tirò la leva. La macchina si sganciò da Alicia, e la ragazza cadde nel buco che si era aperto a terra.
    "ARCADIA!!" furono le sue ultime grida, prima che sparì dalla sua vista. Neith seguì la ragazza saltando nella voragine, con una risata malefica.
    "Argh! Dannazione!" Niente da fare, il suo corpo non si muoveva, nonostante ci provasse. Poi, esattamente com'era successo sul balcone, si accasciò a terra, senza controllo, ma questa volta fu diverso. Il suo cuore stava battendo molto forte, probabilmente per quello che aveva appena visto. Alicia era ormai spacciata, o almeno così sembrava. Avrebbe dovuto seguirla, ma finché rimaneva bloccato a terra non aveva alcuna possibilità di aiutarla. Si sentiva male, terribilmente male. Oltre al malessere psicologico, causato da quanto la ragazza gli aveva appena confessato, si aggiungeva quello fisico, con un dolore in tutto il corpo che lo stava stordendo. Dopo poco tempo perse i sensi, mentre il suo corpo rotolava lentamente giù dagli scalini verso le fiamme del giardino.
     
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  7. Hanna Rye
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    CAPITOLO VENTUNESIMO
    LA MIA PARTE PEGGIORE



    Arcadia si svegliò sull’erba infuocata, con le fiamme che accerchiavano il suo corpo senza tuttavia sfiorarlo. Si rialzò lentamente, tremando come una foglia, mentre il dolore se ne andava lentamente; non riusciva a vedere nitido per via della testa che gli girava; la sua mente era un turbinio di pensieri, uno più contrastante dell’altro. Gli sembrava di vagare da un’eternità, con tutto quello che era accaduto.
    Neith diceva davvero la verità? Erano davvero uguali? Era davvero una parte di lui? Questo avrebbe spiegato molte cose, per esempio perché anche Alicia era stata tirata dentro, seppure comunque a torto.
    “Continuo a non capire… che c’entra lei? Tutte quelle accuse… non hanno senso! Non hanno alcun fondamento!” pensava tra sé e sé. “Io non voglio essere come lui. Non è una questione di coraggio, ma di volontà: non ci tengo ad essere una bestia insofferente e crudele come Neith.” Scosse il capo, cercando di levarsi dalla testa quello che aveva visto poco fa. “Devo fermarlo… a tutti i costi. Il mio percorso qui a Silent Hill a quanto pare non è ancora finito.”
    Arcadia si rialzò di nuovo, questa volta senza tremare. Alla paura si era sostituita la decisione nell’andare avanti. Si avvicinò al buco, con le fiamme che lambivano le sue gambe, esaltando il colore arancione del Danger Halley.
    “E’ colpa mia.” cominciò, parlando tra sé. “Se tutto questo sta succedendo, è solamente perché è uscito dalla mia testa. Neith compreso… se è davvero una parte di me, dev’essere quella peggiore.” Nella sua testa, i diversi tasselli si incastravano alla perfezione, tutto quanto gli pareva chiaro. “Il risentimento non mi ha mai abbandonato… il desiderio di vendetta, seppur immotivato, aspettava di manifestarsi. E quando Neith è arrivato, si è cibato di questo. Del male che provavo e che volevo infliggere.” Fece un passo verso il buco. “Io ho portato dentro di me tutto questo, ho lasciato che uscisse fuori. E io vi porrò rimedio.” Un altro passo, ora era proprio sul bordo. “Belekal me l’aveva detto, solo io posso farlo. E’ la mia colpa, l’ira.” Fece un respiro profondo, e saltò giù. “Sto arrivando Neith! Ti estinguerò una volta per tutte!”

    Fu una lunga caduta, quella di Arcadia, ma alla fine intravide la luce. Per tutto il tempo avevo tenuto d’occhio la riserva di energia, che in quel momento era al completo. Non appena fu visibile il pavimento, per quanto comunque il tunnel fosse buio, azionò i propulsori per rallentare la caduta ed effettuare un atterraggio senza problemi. Nessuna grata a terra, ma solo pietra brunastra e polverosa. Il pavimento era macchiato di catrame e, in piccola parte, di sangue. Accese la luce portatile, per rendersi conto di dove era appena atterrato. Sembrava una stanza circolare senza finestre, con muri spogli, decorati solo da vecchie crepe e scritte spigolose incomprensibili. Non c’era traccia di anima viva lì dentro né tantomeno di Neith o di Alicia, eppure aveva l’impressione che ci fosse qualcuno, o qualcosa, che lo stesse osservando. Però non c’era luce in quella stanza, a parte la sua torcia, e non aveva ancora trovato una via d’uscita. Poteva essere circondato da mostri senza saperlo.
    Mentre pensava a questo, un rumore basso cominciò a farsi sentire. Era come un respiro, molto lento, difficilmente udibile. C’era effettivamente qualcosa, ma l’impressione che aveva Arcadia era che quel qualcosa dovesse essere enorme, perché ad ogni respiro l’aria vibrava sensibilmente. Si voltò dall’altra parte, con la pistola davanti a lui stretta nella mano destra. La prima cosa che vide era una bocca, e a giudicare dalle dimensioni Arcadia constatò di aver in effetti indovinato: quel qualcosa era enorme, avrebbe potuto prenderlo in un solo morso. Le labbra erano rosee sul leggermente livido e terribilmente screpolate, come di ustioni.
    Spense la luce nel tentativo di nascondersi, ma poco dopo due occhi pallidi si illuminarono. Avevano lo stesso aspetto consunto della bocca, ed erano enormi anch’essi. Il respiro si faceva più intenso e rumoroso, mentre Arcadia indietreggiava, sempre con la pistola in direzione dello strano essere.
    “Identificati!” disse alla fine. “Identificati immediatamente, o apro il fuoco!” La risposta fu un verso mostruoso, disumano, mentre dal nulla si accendevano delle candele vecchie sui muri. Una luce pallida e giallognola illuminò la stanza, mentre gli occhi si spensero. Una testa di donna spaventosamente grande spuntava dall’altro lato della stanza, con la pelle a tratti rovinata e diversi viticci che la incollavano a terra, come se non fosse derma umano ma qualcosa di appiccicoso. I capelli un po’ corti le cascavano in parte sul volto, anch’essi non certo in ottimo stato. Qualsiasi cosa fosse, la testa enorme fissava Arcadia in continuazione con fare minaccioso, quasi perverso.
    “Questo è assurdo… da dove spunti? Tu non c’entri niente con me!” disse istintivamente, mentre si teneva la fronte con una mano, poiché la vista del mostro gli causava mal di testa.
    “IO SONO REALE INVECE.” rispose di rimando il testone gigante, con una voce talmente distorta e fastidiosa che il mal di testa di Arcadia aumentò, spingendolo a coprirsi le orecchie. “TU SAI CHI SONO, E IO SO CHI SEI TU.”
    “Tu non sei questo… tu sei solo una rappresentazione alterata di un’altra donna!”
    “IO SONO QUALCOSA CHE A TE FA PAURA. TU LE TEMI, DALLA PRIMA ALL’ULTIMA. E LA PAURA DERIVA DALL’IGNORANZA!”
    “Un tempo, forse… ma ora non più! Ora che conosco, ora che so la verità… ora sono pronto a rimettermi in discussione! Perciò fatti da parte, mostro!”
    “MUORI PIUTTOSTO!” Non appena la testa gigante di Eileen Galvin finì di parlare, dal muro a sinistra di Arcadia spuntò fuori con violenza un enorme braccio, presumibilmente quello della stessa. Le unghie rosse, affilate e rovinate, cercarono di afferrare Arcadia, che si spostò prontamente. Egli perciò partì al contrattacco, mirando con la balestra all’occhio destro. Il dardo partì verso il bersaglio e lo colpì in pieno, ma la testa gigante sembrò non farci caso e lo attaccò col pugno chiuso, ancora una volta senza risultato.
    “TI SERVIRA’ MOLTO PIU’ DI QUESTO. DOV’E’ TUTTA QUESTA TUA SPINTA DI REDENZIONE?”
    “Ho appena cominciato!” rispose Arcadia, caricando velocemente un altro dardo. Nel frattempo il mostro cominciò a urtare violentemente le mura, facendo tremare l’intera stanza. Qualche pezzo di pietra cadde dal soffitto.
    “Cosa sta cercando di fare? Vuole farmi crollare il soffitto in testa?” pensò lui, mentre teneva la balestra puntata. Cercava uno spazio per l’attacco, pur sapendo che non sarebbe bastato un colpo solo a neutralizzare l’enorme creatura. A un certo punto, la testa gigante si fermò, e aprì la bocca lentamente. Da essa ne uscì una lingua… se così si poteva chiamare. Era un altro mostro, anch’esso con le sembianze di Eileen Galvin, ma come se l’avessero spellata: non sembrava neanche un essere umano riconoscibile.
    “E questo cos’è ora? Un altro dei tuoi giochetti?” chiese lui, con l’arma puntata dall’occhio destro della testa alla “lingua”.
    “Ascoltami bene, Arcadia Evander. Non puoi continuare, lo sai anche tu perché.” disse la creatura, e gli venne un colpo perché la voce era quella di Alicia. “Tu non hai dimenticato nulla. E’ evidente, Neith ne è la prova. E anche se non è vendetta quello che cerchi, c’è dell’altro che ti porti dentro, qualcosa che neghi di continuo. Tu vuoi un’altra possibilità, vuoi a tutti i costi stare con lei.”
    “E’ un crimine starle vicino?”
    “No ma lo è irrompere nella vita delle persone contro il loro volere!” tuonò ella. “Tu non vuoi semplicemente fare l’amico. Vuoi importi, vuoi che lei sia costretta a considerarti. Che vita è questa? A dover rendere conto a una persona contro la tua volontà? Tu la vuoi obbligare ad affezionarsi a te. Hai sempre fatto così, in particolar modo con Alicia.”
    “A me non sembra proprio. La vedi forse qui con me? No, ovviamente, siccome voi me l’avete portata via! Io sto solo cercando di tirarla fuori da questo casino, Neith la vuole ammazzare! Se anche fosse vero che la sto imprigionando, è perché la voglio proteggere da voi!” Arcadia avanzò lentamente verso il mostro, che non accennava alcun movimento, ma continuava a parlare.
    “Ma a lei non importa che tu la consideri o no… tu non fai parte della sua vita, non ne sarai mai parte. Siete due egoisti, tu perché la vuoi a tutti i costi per te solamente, e lei perché di te non se ne fa niente, le interessa solo delle tue attenzioni, per il resto… potresti anche schiattare come un cane. A nessuna interessa il tuo patetico bisogno di compagnia umana.”
    “Chiudi quella bocca, serpe! O lo farò a modo mio.” fece con tono minaccioso, mentre la LB2 sul suo braccio sinistro si accendeva.
    “Non puoi mettere a tacere la verità. Non puoi mettere a tacere la tua coscienza. Accetta la sconfitta!”
    “Infatti… tu non sei la verità. Sei solo un’altra delle creazioni di Silent Hill.”
    “L’ultima che vedrai, Evander! Muori come lo smidollato che sei!” La creatura-lingua fece uno scatto in avanti per colpirlo, ma Arcadia la intercettò con un colpo di balestra, poi la afferrò e affondò la spada laser nel suo collo, non senza fatica. La testa gigante sbarrò gli occhi, lanciò un urlo assordante, e con uno strattone cercò di scrollarsi l’AC di dosso, ma egli si inchiodò addosso alla creatura ancora più forte, premendo all’altezza del collo per soffocarla. Uno strattone più forte lo fece volare a terra, mentre la lingua sanguinava copiosamente, sporcando il pavimento. Arcadia si rialzò, mentre il mostro continuava a gemere sofferente.
    “NON ANDRAI OLTRE.” disse infine, di nuovo con la voce distorta. “NON TI LASCERO’ PASSARE. HAI COMMESSO TROPPI ERRORI, E DEVI PAGARNE IL PREZZO.”
    “Ho già dato abbastanza.” Cominciò a camminare verso la testa, con la spada laser ancora attiva e diretta verso la sua fronte. “Ho promesso ad Alicia che l’avrei riportata a casa, e andrò fino in fondo. Non è più una questione di salvare la mia pelle, ma la sua.”
    “PERCHE’ LO FAI? LEI NON E’ CHE UNA PERSONA CHE TUTTE LE ALTRE. NON MERITA PIETA’ PIU’ DI QUANTA NE MERITI TU.”
    “E’ qui che ti sbagli. Lei è qui unicamente per causa mia.” Arcadia cominciò ad arrampicarsi sulla testa gigante, con la spada laser all’altezza della fronte, e cominciò a caricare un fendente.
    “E’ INUTILE, LEI E’ GIA’ STATA INCOLPATA. PAGHERA’ IL SUO PREZZO.”
    “Lei ha già pagato abbastanza!” Arcadia colpì la fronte con la spada una volta. “Ora…” Colpì di nuovo, creando un solco. “…lasciatela…” Un altro colpo più forte dei precedenti allargò la ferita. “…andare!” Un quarto colpo affondò completamente nel cranio, provocando schizzi di sangue addosso all’AC e urla disumane.
    “BASTA! LASCIAMI STARE!”
    “Non ho ancora finito!” Arcadia continuò a sferrare colpi con la spada laser fino a quando il cranio della bestia non fu sfondato. Saltò giù, spegnendo la LB2, sul pavimento completamente insozzato di sangue. La testa gigante era reclinata su un lato, orribile a vedersi. Era un mostro, ma l’aveva ammazzato in modo brutale. Eppure era convinto di quello che stava facendo. Alicia andava portata in salvo a tutti i costi, non c’era tempo per farsi spaventare.
    Stava pensando a come avrebbe potuto fare per passare, quando il mostro prese fuoco all’improvviso. Delle fiamme intense illuminarono la stanza, sprigionando un calore intenso. Restò immobile a guardarla bruciare, mentre la carne si anneriva violentemente e diventava cenere, mentre le frattaglie si vaporizzavano, lasciando ossa fragili come braci spente. Tutti i suoi sentimenti controversi bruciavano assieme al mostro, e più Arcadia fissava il fuoco, più la sua testa si faceva piena di domande, di risposte, di dubbi. Anche quella creatura rappresentava qualcosa in lui? Qualche lato oscuro, qualche azione malvagia… non sapeva dirlo di preciso. Poteva solo rendersi conto con certezza di quanto odiasse quello che fu in passato. Si sentiva come se fosse stato davvero un egoista, anni fa. Tuttavia questo non gli faceva male. Non era un fuoco di dolore, ma di coraggio. Il coraggio di rimettersi in discussione completava la sua comprensione degli errori che aveva commesso nel passato. Stava cominciando a essere grato a quella città infernale, a Silent Hill… tuttavia, non era ancora finita. Neith era ancora vivo, e Alicia era ancora prigioniera.
    L’enorme falò si spense dopo un po’ di tempo, lasciando un mucchietto di ossa carbonizzate e un grande buco, prima fuori dalla portata visiva per via della testa gigante. Arcadia non perse tempo, e si avviò nel corridoio, con la pistola alla mano e più deciso che mai a porre fine a quella vicenda.
     
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  8. Hanna Rye
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    CAPITOLO VENTIDUESIMO
    ANCHE GLI ANGELI CADONO



    Il corridoio aveva tutta l’aria di essere stato scavato nella pietra, le pareti erano grigie, con qualche porta torcia ai lati. Ogni tanto dei corridoi laterali chiusi di sbarre costeggiavano il percorso, e scritte di carattere religioso comparivano occasionalmente, ma niente che attirasse l’attenzione di Arcadia. Il viso di Alicia era ancora fisso nella sua mente, e dentro di sé voleva solo portarla fuori da quel posto. Quello che sarebbe successo dopo non gli importava; ma era successo tutto per via del suo inconscio, essersela presa con la ragazza appariva ai suoi come un vile tentativo di indebolirlo e di colpirlo nel vivo del cuore. Ma, pensandoci bene, cosa provava lui per lei? Era affetto il suo, o semplicemente senso del dovere? Non solo la sua consapevolezza era cambiata, ma anche il suo atteggiamento nei confronti di Alicia. Aveva senso starle dietro, se era vero che non faceva più parte della sua vita? C’era ancora un legame? Non osava mettere in dubbio che tra di loro c’era eccome, ma quanto si erano riavvicinati non poteva dirlo con certezza. Lei provava affetto, o semplicemente aveva bisogno di aiuto e lo aveva trovato in Arcadia? Lui non poteva determinarlo, e del resto poco gli importava. Ma guardando in faccia la realtà dei fatti, si stava lentamente assuefacendo all’idea della distanza, al fatto che lui e Alicia ormai vivevano in due mondi diversi… come un addio silenzioso segretamente stipulatosi tra i due, come se avessero riallacciato i rapporti solo per permettere alla loro storia di amicizia di spegnersi dignitosamente in un clima più sereno della brusca fine di anni fa. Arcadia non sapeva cos’era, l’idea lo terrorizzava, ma non poteva fare a meno di pensare che era esattamente dove stava andando a finire il loro legame.
    Il suo flusso di pensieri fu interrotto da delle voci provenienti dalla fine del corridoio. Un portone di legno terminava il percorso.
    “…sei un traditore, un vile codardo! Morirai assieme a tutti loro!”
    “Preferisco la morte a questa carneficina immonda!”
    “Come osi! Verme schifoso, tu non credi alla verità! Tu non la riconosci!”
    “Io vedo solo eresia, e un pazzo criminale che maneggia cose più grandi di lui!”
    “ERETICO!!”
    Un urlo tremendo percorse il corridoio… anzi, due urla: l’altro era di donna. Due voci che lui conosceva benissimo.
    “Alicia!” Arcadia realizzò che stava succedendo qualcosa di brutto, e si fiondò verso la porta. Mentre correva verso di essa, delle scariche elettriche percorsero il suo AC. Immediatamente si ricordò dell’infermiera demone che aveva provato ad accoltellarlo per poi morire fulminata, e cercò di caricare la sua corsa mentre si dirigeva verso la porta. L’impatto fu fortissimo, e il pesante portone venne sfondato immediatamente.
    Neith era al centro di una cappella in parte distorta dall’Otherworld di Silent Hill, mentre davanti a lui giaceva morto l’AC di Belekal, zuppo del suo stesso sangue e col torace sfondato. Non perse tempo a realizzare perché: il suo avversario alzava in aria con la mano destra un pezzo di carne come fosse un trofeo.
    “Arcadia!” fece la voce di Alicia alla sua sinistra. Si voltò e la trovò distesa a terra, malconcia e con una gamba probabilmente dolorante a giudicare dal modo in cui se la reggeva con entrambe le mani.
    “NEITH!” urlò subito in direzione dell’AC nero. “La tua corsa è finita. Arrenditi immediatamente… questa volta non puoi battermi.”
    “Arcadia… sono sorpreso. Ci hai messo meno tempo del previsto.” fece Neith indifferente, indietreggiando. “Sei una persona che impara in fretta dai propri errori. Ma sei anche ingenuamente stupido. Potrai anche aver compreso la strada per la tua redenzione, ma per la ragazza non ci sarà pietà.”
    “Perché non ce n’è da darle! Lei non c’entra!”
    “Lei è come tutti gli altri, una peccatrice. E sai com’è fatto l’uomo, ammette difficilmente i suoi errori.” Mentre parlava, si era diretto su un tavolo, dove era stato sistemato un vassoio con un grosso ago.
    “Non puoi uccidere la gente per questo! Ognuno ha bisogno di una seconda possibilità… ognuno ha diritto al perdono! Lei non ha nulla a che fare con te!”
    “Te l’ho già detto, lei ne ha eccome. Ma a quanto pare tu l’hai assolta, tant’è che non posso ucciderla. Ci ho provato… ma mi sono sentito bloccato. Così, ho dovuto ricorrere a un piano d’emergenza. Vedi questo?” Alzò la mano destra. “Belekal mi ha tradito, e ho deciso di sacrificare la sua inutile esistenza… ai miei occhi si è macchiato di un crimine ben peggiore di quelli che ho attribuito alla tua amica. Il suo cuore è pieno di eresia, e dai peccati della vostra specie io trarrò la mia forza.”
    “Tu… tu non farai un bel niente!” rispose Arcadia. Fece per dirigersi verso di lui, ma Neith fu più veloce ed estrasse un revolver, sparando un colpo verso di lui.
    “NO! ARCADIAAA!!” Alicia urlò disperata, portandosi le mani alla bocca, mentre il proiettile lo colpì alla testa. Danger Halley cadde a terra inerme, e non si mosse, mentre delle scariche ancora lo percorrevano.
    “N-NO! ARCADIA!” La ragazza scoppiò a piangere, strisciando verso di lui lentamente per via della gamba ancora in cattive condizioni. “RISPONDIMI! NON PUO’… NON PUO’ FINIRE COSI’!!”
    “Non vi sono più ostacoli adesso.” La voce di Neith fece voltare Alicia. “Il corso naturale degli eventi verrà presto ripristinato. Il vero credo può finalmente crescere e sconfiggere l’ipocrisia della vostra stirpe malata.”
    “Tu… SEI SOLO UN ASSASSINO!!” urlò Alicia, ancora in lacrime. “SEI UNA BESTIA!!”
    “Risparmia il fiato, ragazza. Tu non hai più alcun ruolo. Potrei uccidere anche te, ma ho aspettato troppo a lungo. Non vi saranno più distrazioni.”
    Neith alzò in aria il cuore di Belekal.
    “Il rito è cominciato. Il peccato si è rivelato. L’eresia è stata esposta. Il guardiano degli uomini si è spento, e con lui… TUTTI VOI BRUCERETE ALL’INFERNO!” Con un gesto violento infilzò la libbra di carne sanguinolenta sull’ago che giaceva di fronte a lui nel vassoio. Non appena il freddo metallo trapassò la carne, un boato enorme echeggiò per tutta la cappella. Alicia non fece neanche caso a quello che stava succedendo: con gli occhi ancora in lacrime osservava il rito, e con le braccia stringeva forte l’Armored Core di Arcadia, inerme. All’improvviso delle potenti scariche si diressero in direzione di Neith, raggiungendolo con estrema violenza.
    “AAAAAAAAAAARRRRGGGGGGHH!!!!!” Un grido di dolore riempì l’aria. “SAMAEL!!! ECCO TUO FIGLIO!!! PRENDIMI CON TE!!!” Non appena pronunciò queste parole, altre scariche colpirono l’altare, e decine di scintille scaturirono dal luogo dell’impatto. Poi un’enorme esplosione frantumò il pavimento e tutto ciò che si trovava nel punto in cui stava Neith. Alicia urlò, spaventata, mentre il fumo e le polveri oscuravano la sua vista.

    “…dove sono?” Arcadia si svegliò in un posto buio. Pioveva, e c’erano alberi morti ovunque. La cosa che notò, tuttavia, non era il paesaggio, ma il fatto che si era svegliato a mezzo metro da terra… sospeso nell’aria.
    “Ma che diamine…?” Non riusciva a spiegarsi cosa stesse succedendo, poi sentì un rumore. Qualcuno stava scappando dietro un muro. Fu sorpreso nel vedere sé stesso riparare in difesa poco prima che qualcosa atterrasse con grande forza al suolo. Arcadia si vide mentre approfittava per colpire Fascinator, solo che lei schiodò lo spadone dal terreno e lo colpì violentemente di nuovo, facendolo cadere.
    “Hai finito di massacrare!” urlò lei, e si lanciò contro di lui. Arcadia stava assistendo allo scontro, o meglio, alle fasi finali: si ricordò dello sgambetto che fece a Fascinator, facendole perdere l’equilibrio. Ma, oltre a quello, ella perse anche lo spadone. Vide sé stesso rialzarsi per fare una corsa e prenderlo, per poi lanciarlo addosso alla donna. Un paio di tonfi secchi gli dissero che la Fascinator era caduta a terra, colpita dall’enorme arma e morta stecchita.
    Arcadia riconobbe la scena. Vide che il suo sé stesso aveva trovato qualcosa a terra. “Future, come previsto. E adesso?” Non appena scandì queste parole, gli sembrò di capire qualcosa. Tuttavia, si vide mentre si voltava verso di lui, come se lo vedesse.
    “E adesso… tu che ne dici? Sei a un passo dalla fine.” gli disse. Ad Arcadia saltò il cuore in gola: poteva vederlo. Gli stava parlando, ma con una voce diversa. “Futuro, esattamente. Il tuo futuro ti sta aspettando. Neith ha già completato il rito. E’ tempo che tu completi il tuo viaggio. Il tuo passato si è estinto, il tuo presente si accinge a diventare passato… e il tuo futuro aspetta solo di diventare presente.”
    “Io… Danger Halley, mi stai… parlando?”
    “Ci siamo solo noi, qui. Arcadia Evander, signore, io sono pronto a combattere. Attendo un suo ordine.” Il mech arancione tese la mano destra, col medaglione del Futuro ancora stretto, come se volesse consegnarglielo.
    Arcadia rimase immobile. Poi strinse i pugni. “Facciamolo.”
    I due si avvicinarono. La mano di Arcadia si congiunse con quella del suo Armored Core. “Siamo a un passo dalla libertà, signore. A un passo da un futuro migliore. Per noi, per Alicia.”
    “Danger Halley. Portami da Neith.”
    Un bagliore intenso coprì la sua vista. La sua sensazione fu di sentirsi estremamente leggero. Poi perse i sensi, consapevole di quello che stava per accadere.

    Arcadia ritornò cosciente poco dopo, con un gran mal di testa. Si guardò attorno, la stanza non era più la cappella, era diversa. Il pavimento era di forma circolare, fatto di metallo scuro, e al centro c'era un buco, abbastanza grande perché potesse passarci. Tutta attorno a lui c'era un'unica parete, anch'essa di metallo. Gli unici elementi degni di nota erano un paio di croci diametralmente opposte l'una dall'altra, con un Halo disegnato sopra ciascuna. Dal buco proveniva una luce pallida, e aveva la sensazione che ci fosse qualcuno. Arcadia sapeva chi ci fosse. Strinse istintivamente i pugni, come se ci fossero Alicia e Danger Halley ai suoi lati.
    "Ci siamo. Neith è lì sotto. La mia parte peggiore è lì sotto." Cominciò a fissare il buco, mentre vi ci si avvicinava. "Ho vissuto anni con questo male in corpo, senza mai accorgermi di nulla. Ho nutrito questo mostro immondo, senza neanche essermi reso conto che ho contribuito io stesso a crearlo."
    Guardò sopra di lui, dove una luce indicava la cappella che stava in alto. "Alicia..." Tornò a fissare il buco. "Non sarò mai più la persona che sono stato. Non commetterò di nuovo lo stesso errore." Fece un paio di passi per attraversarlo. "Danger Halley! Portami da quel figlio del demonio! Abbiamo una battaglia da vincere, la più importante della mia vita!" Con queste parole si gettò, mentre era quasi sicuro di aver sentito la macchina rispondere: "Agli ordini, Arcadia Evander, signore."

    L'atterraggio fu pesante, ma il mech resse bene l'impatto. Il fragore del metallo che colpiva la pietra del pavimento dell'enorme stanzone sotterraneo colse l'attenzione di Neith, non più a bordo di un AC normale, ma di un orrendamente mutato Divine. Quattro braccia, due con fucili a rotaia magnetica e due con delle lame scardate e affilate, mentre sulle spalle si stagliavano due enormi ali come di un demonio. La testa era simile aun teschio ricoperto di strati di pelle bruciata, e gli occhi rossi pulsanti fissavano Arcadia, stupefatti e arrabbiati per la sorpresa di vederlo vivo: il Danger Halley portava ancora in fronte il segno del proiettile.
    "TU!! SEI ANCORA... VIVO!!" urlò Neith, con una voce ancora più terribile di tutte quelle che aveva udito fin'ora.
    "Neith." Arcadia non si scompose minimamente, mentre delle scariche percorsero il suo braccio sinistro. "Avresti dovuto prevederlo. Non sono più un debole come potevo esserlo prima. La consapevolezza mi ha liberato dai pesi dei miei errori. La mia perseveranza armerà il mio Armored Core." Sfoderò la spada laser. "La mia redenzione sarà la tua fine."
    "Sei determinato... o forse testardo. Poco importa, sapevo che dopotutto non eri un pilota qualunque. Avevo ben inteso quanto potessi essere un pericolo. Tuttavia, siamo alle fasi finali. Puoi uccidere decine di uomini senza danno alcuno, ma... puoi uccidere Dio?"
    "Tu non sei Dio, Neith. Tu sei una parte di me."
    "Ah ah, cosa sento! Sembra che qualcuno stia ritrattando la sua posizione!"
    "Non sto ritrattando. Sto prendendo atto della verità. Tu non puoi essere un Dio, altrimenti io dovrei essere la tua nemesi."
    "Ah ah ah ah!! E cos'altro credi di essere? Per essere così potente, puoi solamente essere qualcosa di speciale... qualcosa di non umano."
    Arcadia incrociò le braccia. "A me non sembra proprio. Forse ti confondi con gli effetti dell'Otherworld."
    "Non credo." Neith fece un ghigno. "Sei sopravvissuto nonostante ti abbia bucato la testa, cosa impossibile per qualsiasi umano. Come me lo spieghi?"
    "Infatti, non te lo spiego. Tutto quello che voglio è ucciderti, nient'altro."
    "Provaci allora, se ci riesci!" Neith puntò i fucili a rotaia e sparò contro Arcadia, che si tuffò in avanti per schivarli. Cercò di corrergli incontro, ma Neith si portò in alto, mentre le mura cominciavano a perdere pezzi. In poco tempo sotto i frammenti di muro comparvero grate, e delle fiamme bruciavano dietro di esse. Neith continuò a sparare, ma Arcadia schivò ogni colpo. Decise quindi di rispondere al contrattacco, e brandì l'ascia gigante che nel frattempo era ricomparsa ai bordi della stanza. Con uno scatto di Overboost si portò in aria, molto vicino a quel demone che era diventato Divine, e tentò un affondo all'addome. Il mostro accusò il colpo senza tuttavia scomporsi, e cercò di rispondere con un attacco di entrambe le lame; attacco che andò a vuoto dal momento che Arcadia aveva prontamente assunto una posizione di difesa, vanificando l'offesa. Tentò un altro colpo, ma un proiettile ravvicinato di fucile a rotaia lo spinse parecchi metri lontano da Neith, mentre un altro mirato alla spalla destra di Danger Halley fu parato dal manico dell'ascia, che si spezzò a metà. Arcadia lanciò la parte di ferro dell'arma, colpendo Neith a un'ala.
    "Sei tenace, ma non basterà!" gli urlò di rimando dal Divine.
    "E allora farò di più!" rispose, estraendo la mitragliatrice.
    "Il tuo Dio ti ha abbandonato, Raven!"
    "Dici? Tanto meglio... vorrà dire che non mi guarderà mentre ti faccio a pezzi!" Una scarica di proiettili partì dalla PIXIE3, diretti verso Neith. Il mostro si spostò velocemente, ma gran parte dei colpi andò a prendere le ali, facendone brandelli. Andò avanti per un po', fin quando i caricatori non finirono.
    "Arrenditi! Samael è dalla mia parte!"
    "Poteva risparmiarsi l'affanno, Neith! Tanto morirai comunque!" Arcadia gettò la PIXIE3 e la pistola a terra, e caricò la balestra. Neith tentò un altro attacco con i fucili a rotaia, ma egli fu più veloce e lo colpì per primo con un dardo alla spalla sinistra. Uno dei colpi dei fucili finì per colpire il muro dietro di lui, mentre l'altro lo sfiorò di poco.
    "Dov'è il tuo Dio, adesso?" Arcadia atterrò, mentre Neith era già al suolo, poiché le ali erano troppo danneggiate per poterlo sostenere ancora. "Dov'è, Neith?" Cominciò a camminare verso di lui, balestra alla mano. "DOV'E'?? SI FACCIA VEDERE IL TUO SAMAEL!!"
    "Muori, eretico!!" Neith estrasse a sorpresa il revolver che aveva già usato prima, e gli sparò un colpo, che andò a finire in pieno volto al Danger Halley. Arcadia si fermo sul posto, poi si passò una mano in volto. Poco dopo gettò a terra il proiettile.
    "COSA? QUALE STREGONERIA E' QUESTA? MUORI!!" Gli sparò altri tre colpi, ma il mech arancione li resse tutti.
    "Neith, io ti ho avvertito. Ho detto che sarei andato fino in fondo a questa storia, e non ho intenzione di fermarmi solo per i tuoi capricci."
    "Poco male... ti ucciderò comunque, Raven! Ti ostini a difendere la razza umana, sai cosa ti aspetta... la tua fine e quella dei tuoi protetti si avvicina!"
    "Puoi anche uccidermi, Neith. Ma non ce la farai mai. Questa sarà la tua tomba."
    "Lo vedremo... Raven. Sei senza uno straccio di armi, come pensi di sconfiggermi? A mani nude?"
    Arcadia accese la spada laser. "Dimentichi un dettaglio, io sono un Dominant. Tramite la mia forza di volontà ti finirò con le tue stesse armi."
    "Silent Hill non risponderà mai a te! Io sono il suo Dio!"
    "Anche gli angeli cadono, Neith. E la tua sarà una caduta dolorosissima. La mia punizione è quasi terminata... manchi solo tu ormai. Se sei davvero il figlio di Samael, allora affronta questo mortale! O muori... come l'assassino impostore che sei!"
    I due erano ormai faccia a faccia. Arcadia teneva la LB2 davanti a sé, con la lama verde che traeva energia dall'elettricità che di tanto in tanto sprizzava sulla superficie del Danger Halley; Neith aveva abbandonato i fucili a rotaia e si stava rapidamente avvicinando a lui con le due lame nere spianate verso il bersaglio. L'impatto fu violento, con scintille dappertutto, mentre le armi si scontravano e le spade strisciavano l'un l'altra riempendo la stanza di stridii. Arcadia tentò di rompere la guardia, ma finì scaraventato un paio di metri più in là. Neith tentò di impalarlo al suolo ma lui rotolò di lato evitando l'attacco.
    "Perché li difendi, Raven?"
    "Perché credo che non sono tutti dei mostri come li definisci tu."
    "Ed è qui che ti sbagli..." Neith riprovò un attacco, ma fu Arcadia stavolta a interromperlo con una pedata all'addome. Successivamente lo colpì con la spada laser, danneggiando una delle lame di Divine.
    "Forse... ma tu sbagli sicuramente approccio. Gli esseri umani sono capaci di buone azioni."
    "Illuso! Hai visto le guerre che sono passate! Hai visto gli inganni che stiamo subendo! Hai visto le conseguenze per aver creduto nell'amicizia di quella ragazzina di Alicia!"
    "E continuerò ad averne fiducia! Io sono in pace con me stesso... gli errori di ciascuno uomo non sono problemi miei. Solo loro possono accettarli e risolverli. Non possiamo pretendere di imporre la nostra morale agli altri!"
    "Folle." Neith sferrò un altro attacco, ma le ferite cominciavano a farsi sentire, e Arcadia sfruttò questo fatto per tirargli una gomitata in pieno volto. Il mostro si rialzò, ancora determinato a combattere. "Il vostro Dio è frutto della morale del debole imposta a tutti gli uomini. Siete sottomessi, frustrati, umiliati, e siete portati ad azioni violente verso voi stessi e verso i prossimi. Questo è il vostro destino. Non vedo futuro, solo morte."
    "Pensi di avere una risposta, tu?" Arcadia continuò a fare pressione contro Neith con un paio di attacchi. "A violenza rispondi con più violenza! Che razza di soluzione è?" Un altro fendente venne parato, ma il colpo di taglio che seguì danneggiò anche l'altra lama del mostro. "La violenza ti consuma, fin quando non succede che non ne puoi più. E in quel momento... crolli, come un castello di carte sotto la forza di uno tsunami." Arcadia ruppe la guardia di Neith, gli tirò un calcio in mezzo alle gambe, cosicché lo costrinse a piegarsi. La nuca era scoperta e indifesa, così gli piantò dentro l'intera lama laser della LB2, premendo con tutte le sue forze. Neith urlò di dolore, mentre dimenava le braccia per cercare di fermarlo, ma Arcadia premette ancora di più. Infine la bestia cadde a terra, mentre egli indietreggiò, tenendo in vista Divine.
    "Oh Neith, ora comprendo il perché di cotanta tua insistenza. Eri davvero una parte di me, quella peggiore... quella che non è mai cresciuta, che è rimasta con l'immagine di Alicia undicenne e delusa da quella attuale. Quella che voleva diventare qualcuno e che si sentiva nessuno senza motivo. Quella che non aveva mai pensato che il problema, nella vita, può nascere da noi stessi. Quella che ha scaricato tutta la colpa sulla mia povera amica, senza vedere la propria."
    Neith emise dei gemiti, cercando di parlare, ma la voce era spezzata.
    "Non parlare. Avrai tutto il tempo per rimuginare sui tuoi errori e sull'inutilità di tanta tua violenza in una prossima vita... se ci sarà. Spero per te che non ci sia nulla dopo la morte... è meglio per tutti quanti, te compreso." Arcadia si avvicinò a Divine. Non dava alcun segno di vita, gli occhi rossi pulsanti si erano spenti. Gli mise una mano sul volto, come per chiudergli le palpebre, anche se non ne aveva. "Il nostro viaggio finisce qui, Neith. Le nostre strade si separano una volta per tutte." Si rialzò, camminando verso il centro della stanza. Guardò in alto e vide il buco circolare. Posò un ultimo sguardo verso il cadavere ormai fumante del mostro. "Amen."
     
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  9. Hanna Rye
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    EPILOGO
    COME UNA FENICE



    La scuola elementare Pellico era ancora deserta alle sei dei mattino, doveva ancora arrivare il personale scolastico. Il cancello color arcobaleno era ancora lì, impaziente di salutare coloro che vi sarebbero passati. Qualche minuto più tardi cominciarono ad arrivare delle persone: era personale ausiliario. Erano pronte a una nuova giornata di lavoro, alle folle di bambini, ai loro problemi, ai loro sorrisi a trentun denti. Quello che non si aspettavano era di vedere il cancello aperto e una figura uscire dal cortile, con un corpo tra le braccia. Un mech arancione stava portando fuori una ragazza, i segni di una lotta ancora visibili. Poco dopo arrivarono anche delle ambulanze, con immenso stupore dei testimoni.
    Arcadia non si curò di essi, e lentamente si inginocchiò per posare Alicia distesa sul terreno. Le carezzò gentilmente i capelli. Erano appena usciti da un inferno terribile, creato dalle sue paure, dalle insicurezze, dal risentimento, dalla cattiveria che in lui dimorava, repressa, in attesa di uscire fuori come una bestia feroce in gabbia che non vuole altro che saltare addosso ai suoi carcerieri. Ancora non poteva credere a quanto era uscito dal suo inconscio, così come non gli sembrava vero di essere riuscito a sconfiggere tutto ciò. Si era sentito morto in corpo, e probabilmente aveva anche vissuto la morte del corpo, ma era sopravvissuto. Era solo una morte apparente, o era davvero qualcosa di non umano? Arcadia non aveva dubbi: Silent Hill non voleva solo punirlo per i suoi terribili errori, ma offrirgli anche una possibilità di redenzione, una chance che andava conquistata col proprio sangue, col proprio sudore. Con la propria vita, se necessario. Rinunciare alla vita passata da frustrato e risentito, per abbracciare una vita nuova, per poter costruire un futuro migliore dalle ceneri del passato, come una fenice.
    Si accorse che la ragazza stava aprendo gli occhi. C’era così tanto da raccontare, eppure Arcadia sentiva dentro di sé qualcosa di diverso. Quella sensazione di prima, quella paura della separazione, che però stava svanendo. Si ricordò del ciondolo a forma di proiettile, così se lo sfilò di dosso e lo mise delicatamente al collo della ragazza.
    “Alicia…” disse piano, mentre attorno a loro si fermava un’altra ambulanza e cominciavano a scendere persone. “Alicia, mi senti?”
    “…Arcadia? Sei…?”
    “Vivo? Sì. Mai stato così vivo.”
    “Oddio… oddio, Arcadia… ho avuto paura…” Alicia stava cominciando a piangere di nuovo. Era comprensibile: era stata un’esperienza terribile anche per lei, aveva bisogno di sfogarsi.
    “Ehi ehi, calma.” Arcadia la abbracciò, cercando al tempo stesso di aiutarla a rialzarsi. “Va tutto bene. E’ finita, questa volta per sempre.”
    “Davvero? Neith è… morto?”
    “Neith non sarà più un problema. Ora è solo un brutto ricordo del passato. Non verrà più a darci fastidio.” Arcadia vide che la ragazza non riusciva a rialzarsi. “Fa ancora male?”
    “Sì… molto.”
    “Per fortuna che ho fatto chiamare delle ambulanze. Dai, ti do una mano.”
    “Grazie. Ancora non riesco a credere che siamo riusciti a… Arcadia, ma che ti succede?”
    “Cosa?” Non capiva quello che Alicia le stava dicendo.
    “Il tuo AC… si sta… sgretolando? O cosa sta succedendo?”
    “Cosa?” Arcadia si guardò un braccio, e fu sorpreso nel vedere che non era più coperto dall’armatura del Danger Halley. Si guardò i piedi: il metallo stava scivolando via, tornando nel Battle Watch. L’AC-Mode si stava finalmente disattivando.
    “Alicia, noi dobbiamo parlare.” disse lui, non appena tornò completamente normale.
    “Aspetta, per favore!” disse lei, un po’ presa alla sprovvista dalla sua dichiarazione. Intanto Arcadia l’aveva portata vicino a un’ambulanza, e la stava aiutando a distendersi sulla barella.
    “C’è qualcosa che devi dirmi?” chiese lui.
    “Arcadia io…” esitò un po’ all’inizio. “…io volevo dirti grazie. Senza di te, credo che… forse non avrei potuto farcela.”
    “Non potevo lasciarti in questo casino. Ti avevo promesso che avrei sistemato tutto e che saresti sopravvissuta, e così è stato. Ho fatto quello che avrei dovuto fare.”
    “Non è solo questo. Non è solo perché mi hai aiutata. Ho sentito qualcosa in te… qualcosa che non c’era prima.”
    “E cosa sarebbe?”
    “All’inizio avevo paura della tua reazione, e pensavo che mi avresti odiato. Ma ora… sento di potermi fidare di nuovo di te.”
    “Alicia, io non sono più come prima. Ho imparato dai miei errori, da quello che è successo da noi. Quello che è stato non mi interessa più, non mi perseguita più. Silent Hill è stata la mia via crucis, e grazie ad essa ho compreso tutti gli sbagli… e ne sono uscito, potrei dire, rinato.”
    “Non ne dubitavo. Sono davvero contenta, per te, ma anche per noi due. Forse avevi ragione, possiamo ricominciare.”
    “Alicia, ecco… temo che non sia completamente possibile.”
    “Come scusa?” Il sorriso sul volto della ragazza si era improvvisamente spento. “Come sarebbe?”
    “Non sono l’unico ad essere cambiato. Tu, ad esempio.”
    “Cosa… cosa ho fatto io?”
    “Ehi non ti agitare… non hai nessuna colpa, non hai fatto nulla di male.” si affrettò a dire Arcadia, cercando di rassicurarla. “Sei solo cresciuta, e anche bene, devo dire. Sei davvero una persona stupenda, fuori e dentro.
    “Ma allora… cosa vuoi dire? Spiegami ti prego!”
    “Il fatto è, Alicia, che quello che c’era tra di noi aveva un senso… ma appunto, aveva. Quell’Alicia di cui mi ero perdutamente innamorato, verso la quale ero molto protettivo, forse anche geloso… quell’Alicia non esiste più.”
    “Ma cosa stai dicendo! Io sono qui, davanti a te!”
    “Non intendo fisicamente… come persona sei cresciuta anche dentro, ma quello che sei diventata è diverso da quello che eri, da quello che mi ha legato così intensamente a te. Adesso le cose sono diverse. Ti sento vicina, e pure io cerco di esserlo per te… ma non è la stessa cosa di allora. Al tempo ti stavo vicina perché ti amavo, perché anche se ero solo un ragazzino credevo di aver trovato una persona stupenda, l’unica di cui avrei avuto bisogno nella mia vita.”
    “E… quindi? Cos’ho che non va?”
    “Tu non hai nulla che non va, Alicia. Sei ancora la persona stupenda di allora… ma forse siamo cresciuti troppo lontani per poter tornare vicini come lo eravamo un tempo.”
    “Io non capisco, Arcadia! Hai sempre detto che avresti fatto di tutto per starmi vicino… e adesso mi dici che vuoi rinunciare?”
    “Non è un rinunciarvi… semplicemente avevi ragione tu. Siamo un po’ troppo diversi, adesso, per poter tornare a quel fantastico rapporto di allora.” Arcadia cominciò a fare un passo indietro. "Io ti sono stato il più vicino possibile... ma solo perché dovevo aiutarti, a tutti i costi. Ora... non hai più bisogno di me."
    “E’ questo dunque…” Gli occhi della ragazza cominciarono a bagnarsi. “…un addio?”
    Arcadia la guardò, esitò, poi disse: “No, Alicia. Siamo stati lontani l’uno dall’altro per tanto tempo, eppure siamo ancora qui, faccia a faccia, a parlarci di quello che è stato, di quello che è adesso, di quello che sarà.”
    “Arcadia…”
    “Non esistono gli addii, per me. Ti prometto che ci rivedremo. Forse domani, forse tra un mese… forse tra un anno.” Fece un altro passo indietro. “Forse… non su questo mondo. Ma ci rivedremo.”
    “Dici sul serio?”
    “Te l’ho detto, questo non è un addio. Non ti lascio da sola. Ma per adesso pensa a riprenderti.”
    “Arcadia, aspetta.” Il ragazzo aveva già cominciato ad avviarsi, ma si voltò.
    “Sì? Cosa devi dirmi?”
    “Grazie ancora. Solo questo.”
    “E per cosa?”
    “Per avermi capita. E per avermi salvata, ovviamente.”
    Arcadia abbozzò un sorriso. “Dovere, amica mia. Dovere.” Si voltò, e cominciò ad allontanarsi, mentre Alicia si distese sulla barella e gli infermieri la portarono nell’ambulanza. Si guardò intorno, inspirando ed espirando profondamente. Odori normalissimi, ma ora lo facevano sentire felice. Felice perché si era liberato da un peso. Felice perché non sentiva più la diffidenza di Alicia addosso. Felice di essere tornato a casa, di sentirsi di nuovo un essere umano per davvero. Si mise istintivamente le mani in tasca, e fu sorpreso di trovarci qualcosa. Poi sorrise, e tirò fuori la mano destra, nella quale aveva il medaglione del Futuro stretto in mano. Lo fissò per un po’, poi lo rimise in tasca.
    “Danger Halley… grazie anche a te.” pensò, mentre la luce del sole gli illuminava il volto, segnato dalla battaglia.
     
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